Capitolo XI – Le bugie sono come le ciliegie… Serena stava vivendo un momento di conflittualità interiore che le metteva addosso un’angoscia continua. Da una parte, c’era Hans, con tutto quello che rappresentava per lei: la sua prima volta, la sensazione d’aver provato, grazie a lui, forse anche il gusto del proibito……
Dall’altra c’era Rosa, sua madre, quella che, fino a ieri era stata il suo unico punto di riferimento… Le aveva sempre detto tutto quello che ‘sentiva’ dentro di sé, confidandole i suoi pensieri, anche quelli nascosti nei recessi più intimi del cuore…
Da quando nella sua vita era entrato Hans, invece, con Rosa era cambiato completamente il rapporto: Serena non riusciva più a parlare con lei, era sfuggente, si sentiva a disagio per il fatto che doveva inventarsi continuamente delle bugie per giustificare le sue frequenti ‘passeggiate’ a Napoli.
Ma, anche se avesse trovato il coraggio di ‘aprirsi’ con lei, che cosa avrebbe potuto dirle, se lei stessa ancora non aveva ben ‘messo a fuoco’ quello che le stava accadendo?

Sentiva dentro di sé il desiderio continuo di rivedere Hans e, nello stesso tempo, era come se temesse il momento di rincontrarlo… Aveva fatto l’amore con lui, gli aveva donato la sua innocenza… Era stato bello? E’ così che succede quando si ama?
Come poteva saperlo con certezza, visto che quella era stata la sua prima volta?

Mamma Rosa, ne era certa, purtroppo, questa volta non avrebbe potuto aiutarla…
Il giovedì per il quale aveva dato appuntamento ad Hans si avvicinava.
‘E’ incredibile come i giorni, a volte, passino rapidamente’ pensava Serena. ‘Domani è già mercoledì… E ancora non ho trovato una scusa valida per mamma’.
Già, una scusa per giustificare il suo incontro con Hans… Ma quella che cercava non era proprio una scusa: doveva dire a Rosa una bugia, l’ennesima bugia, e questo la faceva star male.
Le venne in mente una delle espressioni tipiche di ‘nonna’ Gertrude, una vecchietta sua vicina di casa, alla quale faceva spesso compagnia e che non vedeva l’ora di lasciare questo mondo nel quale non trovava più motivazioni per restare… Aveva tre figli nonna Gertrude, ma nessuno di loro le era rimasto accanto, tutti e tre in America, alla ricerca del benessere, di quella felicità che, a loro dire, avrebbero raggiunto soltanto andando via da Sorrento.
Avevano trovato, sia l’uno che l’altra, nel nuovo mondo dov’erano andati a vivere? Nonna Gertrude era convinta di no.
“Che ti credi, Serene’?” le diceva, durante quelle sere in cui sedevano vicine davanti a quel camino nel quale Gertrude aveva smesso di mettere la legna da ardere, tanto non avvertiva più né il caldo né il freddo. “Io sono vecchia, ma non mi sono ancora scimunita… Quelli, per telefono, quando si ricordano di telefonarmi, a ogni morte di Papa, mi dicono soltanto ‘nu cuofano ‘e fesserie… Io me ne accorgo dal tono della loro voce… Adesso Nicola dice che lavora in una grande azienda a Boston, guadagna ‘e miliuni… Andrea sta impiegato nel municipio, e pure la moglie fatica… Peppino s’è accattato ‘na bella villa a New York… Tutte bucie… Non la finiscono mai…



Ricuordatelle, Serene’ : le bugie sono come le ciliegie, una tira l’altra… Basta che cominci con la prima, e poi non te ne esci più!”
E’ proprio così, aveva ragione, la saggia nonna Gertrude… Povera vecchina, se ne andò all’altro mondo in un freddo mattino di dicembre con il desiderio, inappagato, di rivedere un’ultima volta quei figli ch’erano la sua unica ragione di vita…
‘Le bugie sono come le ciliegie, una tira l’altra…’ sosteneva nonna Gertrude, ma per Serena non era facile trovarne sempre delle nuove e diverse da raccontare a Rosa.
Per questo, si mise a riflettere lungamente per trovare una soluzione al suo problema: doveva assolutamente inventarsi una bugia duratura, che avrebbe, cioè, potuto utilizzare tutte le volte in cui ne avrebbe avuto bisogno…
E, alla fine, l’idea geniale le venne.
“Ti ricordi di Gina?” chiese a Rosa, che era intenta a preparare, con la consueta cura, la cena per i pochi clienti che ospitava la sua pensione.
“Sicuro che me la ricordo, e che mi sono rimbambita tutto insieme?” le rispose, un po’ stizzita. “Piuttosto, mi fa piacere che tu ti sei ricordata che tieni ‘na mamma! E’ finito il periodo del mutismo?”
“Perdonami, lo so che negli ultimi tempi t’ho un poco trascurata…” ammise Serena, dispiaciuta.
“’Nu poco? Serene’ io mi stavo quasi scordando, che tengo ‘na figlia!”
“Hai ragione, mamma… Ma già te l’ho detto che mi sento un poco sbandata… Ho mille pensieri, nella mia povera testa…”
“Ma niente niente ci trase chillu tedesco, in questo tuo, come l’hai chiamato? Ah, sì sbandamento?”
“Ma no… Ti assicuro che sono solo problemi miei… Sento di dover dare una svolta alla mia vita…”
“E va be’, ti voglio credere… Tu si’ stata sempe ‘na brava guagliona… Ma che c’azzecca Gina, in questo tuo desiderio di cambiamento?”
“Te lo spiego subito… Gina, a Napoli, sta frequentando un corso per imparare a lavorare negli uffici. Alla fine, ti danno una specie di diploma, diventi segretaria d’azienda… Pure lei, come me, ha frequentato il liceo, ‘na bella scola, ma sul piano pratico, non sai fare niente…” le spiegò la ragazza.
“Ma perché, hai bisogno di lavorare?” si meravigliò Rosa. “A parte il fatto che tu già mi dai una mano nella pensione, gli incassi, le tasse, la contabilità… Ti servono altri soldi? E che problema c’è: basta che parli! Certo, la pensione non c’arricchisce, però con quello che guadagniamo non c’è mai mancato niente, o mi sbaglio?”
“Ma no, figurati, non è questo il punto… Non è nemmeno facile spiegarti… Insomma, mamma, vorrei fare un lavoro che mi sono scelto e procurato io…”
“Ho capito, ho capito, Serene’…” rispose Rosa, un poco dispiaciuta. “Il lavoro alla pensione non ti piace, non ti dà soddisfazione…”
“E allora non è vero che hai capito!” s’innervosì Serena. “Io voglio soltanto provare a camminare con le mie gambe… Poi, può essere pure che non ci riesco e che torno a lavorare alla pensione, però sento il bisogno di tentare…”
“Vuoi provare a camminare con le tue gambe? E che, posso essere proprio io, tua madre, ad impedirtelo?” si commosse Rosa. “Fa’ stu corso, Sere’, pigliate ‘o diploma, e poi sarrà chello ca vo’ ‘o Signore!”
Serena si sentì soddisfatta, era riuscita nel suo intento: ecco, adesso aveva il ‘lasciapassare’ che le consentiva di andare a Napoli ogni volta che lo desiderava; ma, nello stesso tempo, avvertì una specie di morsa stringerle la bocca dello stomaco, si sentiva in colpa con se stessa!
Aveva ottenuto, sì, quello che sperava, ma a quale prezzo? Tradendo la fiducia di quella donna che, ancora una volta, le aveva dimostrato quanto grande fosse il suo amore per lei.
Ma poi ‘vide’, con gli occhi della fantasia, il suo Hans venirle incontro, stringerla a sé, felice, e quest’immagine fece immediatamente svanire tutti i suoi scrupoli…

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Il giovedì mattina iniziava il corso di segretaria d’azienda, al quale avrebbero preso parte lei e Gina. Questo era ciò che Serena aveva detto alla madre.
La ragazza, intorno alle otto, prese il treno che la condusse a Napoli. Se ne andò bighellonando per la città, in attesa che arrivasse l’ora del rientro di Hans. Da Piazza del Gesù, dopo una rapida capatina nella chiesa di Santa Chiara, il tempo di recitare un Padre Nostro ed un’Ave Maria, scese per Spaccanapoli, la vecchia strada che attraversava quasi per intera l’antico nucleo della città ed entrò in San Gregorio Armeno
V’era stata più volte, in quella strada che l’aveva attratta, sin da bambina, per il fascino particolare che lei sentiva emanarsi da ogni suo angolo, da ogni pietra, ma sempre in prossimità delle festività natalizie, quando la via pullula di migliaia di turisti richiamati dalle tantissime botteghe che espongono pastori, presepi, casette, ed una gamma infinita di addobbi colorati per l’albero. Quel giorno, invece, solo frettolosi viandanti e la possibilità di godersi in piena tranquillità la passeggiata.
Verso le tredici, cominciò a percorrere la strada in senso inverso, lentamente, entrando anche in qualche negozio che esponeva degli articoli che la interessavano. Si soffermò in una piccola bottega all’interno della quale c’era un pastore raffigurante Gesù Bambino. Quella statuina sicuramente sarebbe piaciuta a nonno Catello, un vero cultore dell’arte presepiale, delle vecchie usanze e delle tradizioni…

Era realizzata con una tecnica particolare e con colori vivacissimi, che esaltavano l’incarnato ed i lineamenti del volto, minuti e delicati: sembrava proprio che fosse viva, che le parlasse!
Una breve contrattazione con il negoziante sul prezzo, e Serena uscì dalla bottega con la preziosa statuina tra le mani. Era felice: chissà nonno Catello come sarebbe stato contento!
Il nonno amava allestire, ogni Natale, nel salone principale della sua villetta, un presepe bellissimo, enorme, al quale, anno dopo anno, aggiungeva continuamente dei particolari… Occupava già due pareti dell’ampia stanza, ma nelle intenzioni di nonno Catello sarebbe ancora aumentato nelle sue dimensioni.
Cominciava a lavorarci subito dopo il Ferragosto, al suo presepe, e terminava la sua opera di ricostruzione e di ‘ampliamento’ solamente il giorno della vigilia della grande festa…
E allora nel palazzetto al Corso Italia, dove abitava il nonno, cominciava la ‘processione’, la visita al famoso presepe di don Catello, del quale parlava tutta Sorrento.
Pensando a nonno Catello e al suo presepe, Serena non si rese conto della strada che percorse: dopo circa mezz’ora, si ritrovò, meravigliata, alla sua destinazione, il palazzo di Via Costantinopoli dove Hans aveva lo studio. Si sedette, come al solito, sul primo gradino della scalinata.

Ma, stranamente, dopo una lunga attesa – l’orologio del campanile d’una vicina chiesa aveva appena suonato le tre – del giovane nemmeno l’ombra. Cominciò a preoccuparsi. Hans, di solito, era un abitudinario: come mai non era ancora arrivato? Oltretutto, sapeva che lei sarebbe andata al suo studio.
Aspettò un’altra decina di minuti e poi si decise a salire. Hans poteva essere già allo studio, forse aveva anticipato il rientro, oppure non si sentiva bene e non era proprio uscito di casa.
Bussò alla porta e immediatamente Hans venne ad aprire.
“Serena… Tu scusare me… Oggi giovedì? Io proprio dimenticato… Scusa, scusa ancora.” disse, con tono di voce dispiaciuto e il volto rabbuiato.
“Io non andato in Accademia, io troppo nervoso…” aggiunse subito dopo.
“Si vede che sei agitato… Che cosa t’è successo?” gli chiese, preoccupata, la ragazza.
Hans la prese per mano e la condusse al solito, sdrucito, divano. Le fece cenno di attenderlo, lì seduta.
Dopo pochi istanti, ritornò dallo sgabuzzino nel quale riponeva i suoi quadri, si sedette accanto a lei e le mostrò una tela.
“Ecco…” le disse “Guarda che disastro…”
“Ma questo è il nostro quadro…” si meravigliò la ragazza. “Chi è stato a ridurlo in queste condizioni?”
Il dipinto, infatti, era stato completamente distrutto, cancellato con ampie e nervose pennellate.
Hans, in un primo momento, non le rispose.
“E allora?” ripeté Serena. “Si può sapere chi è stato?”

“Io… Il quadro l’ho rutto io…” ammise il giovane, a capo chino.
“Devi avere qualche rotella fuori posto…” s’arrabbiò Serena. “Tutta quella fatica, più di due ore in posa, senza muovermi, e tu che fai? Rompi il dipinto? Ma, almeno, posso sapere il perché?”
“Ho messo altro viso su tuo corpo… Si vedeva che era altra cosa. Il quadro è diventato brutto, anzi molto bruttissimo… Ecco perché io lui rutto…” le rispose Hans.
“Potevi provare con un altro volto, più bello…”
Hans scosse il capo, sconsolato. “Allora tu non capisci…” disse dispiaciuto. “Problema non è viso in sé… Anche viso bellissimo è freddo, non comunica niente, se dipinto senz’anima.”
Adesso era tutto chiaro. Serena conosceva benissimo quell’importante aspetto dell’espressione artistica di Hans: i suoi dipinti assumevano un significato, diventavano ‘veri’, trasmettevano sensazioni, solo quando il soggetto che riproduceva aveva una valenza, per lui, dal punto di vista emotivo e sentimentale.
“Ho capito…” disse con un filo di voce la ragazza. “Pero, mi dispiace, ma non posso aiutarti…”
“Per questo, io disperato!” urlò il giovane. “Io sapere tue condizioni, ed io rispettare… Ma non posso dipingere corpo senza anche viso…”
Serena ebbe come un sussulto: le parole che il giovane aveva pronunciate fecero balenare un’idea nella sua mente.
“Non so se può funzionare…” disse ad Hans. “Io non sono un’esperta, ma mi sembra che, in arte, si possano proporre, sostenere, anche delle posizioni estreme, innovative…”

“Sicuro, è così… Non esistono limiti, confini… Tutto può essere arte, se comunica sensazioni, se piace… Ma tu, cosa avere pensato?” le chiese il giovane, incuriosito.
“Ti spiego… Qual è il tuo problema? Non riesci a dare un’anima al volto che dovresti sovrapporre al mio corpo…”
“Ia, good, è proprio come tu dice…” le confermò Hans.
“E allora tu il volto non lo dipingere, e basta!” esclamò trionfante Serena.
“Come… Io non capire…”
“Disegna semplicemente una sagoma di volto, solo i contorni, senza lineamenti… E’ stato già fatto da qualche altro artista, o sarebbe una novità? Potrebbe funzionare?”
Hans restò per qualche attimo in silenzio, e poi: “No, non credo che siano mai stati realizzati ritratti così…” rispose, ed una strana luce s’accese nei suoi occhi.
“Anche colli lunghi come Modigliani, nessuno mai aveva dipinto… Eppure…” continuò, e guardava Serena compiaciuto. “Sì, possiamo provare, anzi cominciamo adesso, subito, però io prima devo rincraziare te…”
La sollevò tra le braccia e la baciò con passione. Dopo, appagati i sensi, Hans cominciò immediatamente a dipingere.

**************

Si avvicinava la data entro la quale gli artisti avrebbero dovuto inviare le proprie opere alla sede della mostra, ad Amburgo. Tutti i giovedì, Serena aveva posato per Hans, e tutti i giovedì i due giovani, prima di iniziare il lavoro, avevano fatto l’amore, più volte, senza un attimo di sosta, fino allo sfinimento.
Hans aveva realizzato decine di tele, e alla fine scelse quelle tre che gli sembravano essere le più riuscite. Solo tre quadri: era il numero massimo di opere con il quale ciascun artista poteva partecipare alla mostra.
Anche Serena aveva contribuito alla cernita, condividendo le scelte di Hans.
“Io partire sabato mattina per Amburgo… Sicura che tu non vieni?” le chiese il giovane. “Io felice, se tu venire…”
“Pure a me piacerebbe, ma come faccio a chiedere il permesso a mia madre? Lei non sa assolutamente nulla di questa storia… Non sa neppure che ci stiamo frequentando…”
“Ma perché tu non hai detto?”
“E credi che sarebbe stato facile? Prova ad immaginare… Sai, mamma, io mi sto vedendo con Hans, sto posando nuda per lui, e facciamo l’amore… Pensi che mi avrebbe ‘accoppata’, oppure no?”
“Sì, io capire che non facile… Ma tu, ragazza grande…”
“A parte il fatto che, per una mamma, i figli non diventano mai grandi… E per mia madre, poi… Ma ricordati che siamo in Italia: da te, in Germania, sicuramente è diverso… Credo che le ragazze siano più libere…”
“Sì, più libere… Però, ora che tu fai pensare, anche la mia madre, cioccola mia sorella, che ha più o meno tua età…”
“Cioccola? Che vuol dire, cioccola? E’ una parola tedesca?” gli domandò Serena.
“Nein, tetesco… Io sentito dire qui… Cioccola, è quando mamma accarezza, protegge sua figlia, tratta lei ancora come piccola, capisci?”
Serena non poté fare a meno di sorridere. “Adesso ho capito… Tu vuoi dire coccola… Sì, è proprio come dici tu: mamma Rosa mi coccola, mi considera ancora ‘la sua bambina’. Mio padre, purtroppo, morì quando ero molto piccola… Mamma Rosa è stata, per me, la madre e quel padre che il destino m’ha rubato troppo presto… Ho sempre avuto un rapporto eccezionale, con lei, almeno fino a quando non ho conosciuto te…”
“Perché, cosa ho fatto io?” le domandò Hans.
“Che cosa hai fatto? Niente, hai semplicemente sconvolto tutta la mia vita!” gli rispose, calma, Serena.
“Ma io non t’ho costritta…”.
“Assolutamente, stai tranquillo!” lo rassicurò Serena. “Quello che è successo tra noi, sono stata prima io a volerlo… Ma questo non toglie che, proprio per vivere il nostro bellissimo rapporto, ho dovuto mentire a mamma Rosa, mi sono dovuta inventare un mondo di bugie, tradire la sua fiducia…”
“Me dispiace… Io non pensato a questo…” si mortificò il giovane.
“No, Hans, non fraintendermi io non sono pentita… Se potessi tornare indietro, non cambierei una virgola, di quello che è accaduto in quest’ultimo mese… Non cancellerei nessuno di quegli attimi meravigliosi, che abbiamo vissuto insieme.”
“Io contento che tu dire così…”
Hans le sorrise, la prese tra le braccia, e la baciò lungamente.
Serena si riscosse, dopo qualche minuto, dall’incanto che l’avvolgeva ogni qual volta Hans la stringeva a sé.
“Ora devo andare” disse, sottraendosi a fatica da suo abbraccio. “Dobbiamo salutarci adesso, non penso proprio che mi sarà possibile ritornare a Napoli prima della tua partenza per Amburgo.”

“Io capire… Tu non volere assaggiare la cucchiaiella di mamma Rosa…” scherzò Hans.
“Cucchiarella, Hans, si chiama cucchiarella… Ma ti giuro che mi farei picchiare tutti i giorni da mia madre, anche con una frusta, se questo servisse a rivederti…”
“Ma tu rivedere sicuro, me!” la rassicurò il giovane. “Io, dopo mostra, telefono, scrivo a te… Ma poi vengo altra volta a Napoli, anzi a Sorrento, perché io all’Accademia finito, ci vado solo a giugno, per esame finale.”
di Ernesto Pucciarelli

Fine undicesimo capitolo

Sommario:
Capitolo I – Meta di Sorrento
Capitolo II – Lo scialle lucente
Capitolo III – Serena
Capitolo IV – Hans Stainer
Capitolo V – Zia Pina
Capitolo VI – Karl Stainer
Capitolo VII – Primo appuntamento
Capitolo VIII – Per fortuna, non è successo…
Capitolo IX – Il concorso
Capitolo X – Al cuore non si comanda…
Capitolo XI – Le bugie sono come le ciliegie…