Matteo Puglia era un macchinista di quella ferrovia che si era infilata nella strada tra Via Fontana e Corso Garibaldi prima ancora che quella divenisse Via Unità Italiana. La ferrovia la inventarono gli ingegneri del Regno Borbonico. Hanno inventato di tutto. I treni andavano e venivano scivolando sui lustri binari come se uscissero da un fodero con suoni improvvisi, come sciabolate. I vagoni erano trainati da una locomotiva n Ciccio-Raimondo

era col muso appuntito, l’energia a vapore era alimentata nella caldaia dal fuochista annerito che si muoveva animosamente ai comandi del macchinista. Scivolando sul litorale, gli affannosi treni facevano concorrenza alle navi a vapore nel golfo, quando le navi avevano forma di nave e il fumaiolo lasciava una nuvola rosa più resistente e meno effimera e lesta di quella che sbuffava dalla locomotiva. Due strascichi di sposa tra terra e mare. Ma vele non ne mancavano. La ferrovia passava sui miseri resti di Villa Sora ed altre antiche vestigia quando la litoranea non c’era e gli orti andavano fino al mare.Molti uomini erano in doppio ruolo di contadini e pescatori, le barche riposavano sulla spiaggia grigioperla di rena vesuviana. Una ragazza affetta da sordità percorreva quei luoghi con disinvoltura accanto ai binari: un bel giorno, che bello non si può dire, il macchinista Matteo ebbe prontezza a frenare il convoglio evitando di travolgerla. Si fermò in tempo tra mille scintille. Ne nacque disperazione e conseguente diverbio, e parole grosse, tra gente accorsa pronta per pensare ai numeri da giocare al lotto e agli ex voto da presentare a Santa Maria La Bruna. Tra grida e battimani, i due finirono con l’abbracciarsi e non molto tempo dopo si inginocchiarono davanti all’altare per sposarsi.

Questi sono avi che ora abbandoniamo scendendo per li rami a un Raffaele Raimondo che, come si usava, cominciò a lavorare che aveva soltanto dieci anni. Lavorava il fanciullo da uaglione a masto con un muratore. Più giovanotto andava anche presso una ditta di corallai, il ben ricco Leone Mazza che farà costruire il mitico Cinema Iris, più noto come ‘U cinem a ‘i Rollione, una corruzione torrese di Don Leone. Trovò modo di sposare Rosa Puglia, figlia del macchinista e si dava d a fare, non solo come muratore. Intraprendente qual’era aprì con la moglie un negozio di materiali per l’edilizia ncoppauardia. Essendogli la materia facile, comprò un pezzo di terra alla fine di Via xx settembre proprio accanto alla ferrovia e costruì un palazzetto con un ingresso servito da una specie di piccolo cavalcavia per difesa dalle piogge che laggiù finivano la corsa nel mare. S’era conquistato l’immancabile soprannome di identità, come Rafele ‘u caveciaiuolo, e anche come ‘U russo, per il colore dei suoi capelli. Irrequieto com’era,anni dopo vendette il palazzetto dove, tra gli strepiti dei treni che erano divenuti più veloci, era nato suo figlio Raffaele (si usava perpetuare il nome paterno) e comprò una masseria in via Gaetano De Bottis per farne bagni pubblici, i “Bagni Re Umberto”che poi divennero case per lavoratori a modesto canone.
Intanto il piccolo Rafiluccio frequentava le Scuole di Avviamento Professionale site in un nobile palazzo, una autentica opera d’arte settecentesca di proprietà dei Marchesi di Castelluccio con disinvoltura abbattuto per far posto a palazzi “per civili abitazioni” distruggendo però un patrimonio di civiltà. Lo spazio dov’era la villa, in fondo alla strada che sarà Viale Castelluccio, era sorto il Parco Belvedere. Aveva il giovinetto inclinazione all’arte ed in quella si esercitava. Non gli mancava spirito di osservazione, disegni molto ordinati, il talento insomma si faceva precisione. Il tempo della sua giovinezza era quello di un maestro della decorazione, ma anche di architettura e arte applicata, tra queste cose i sui Carri dell’Immacolata sono leggenda:era quell’Enrico Taverna direttore della Regia Scuola d’Incisione su Corallo e Affini Principessa Maria di Piemonte. Dalla matita di quel signore, che aria di signore aveva, sono nate opere d’arte che avrebbero diritto a un serio e scientifico lavoro di catalogazione e documentazione. È invece stato soltanto saccheggiato da chi in quella scuola ci è entrato senza necessaria competenza. Il giovane Raimondo era un ammiratore del Taverna accogliendone gli esempi di vita e gli insegnamenti. Il maestro lo prese a ben volere per la sua diligenza ed estro creativo. Divennero come amici. Nel tempo, acquisito un impiego come disegnatore all’Ufficio Tecnico Erariale di Napoli, Raffaele Raimondo, con tanta scuola onesta alle spalle, applicherà le teorie apprese dall’eccellente maestro. I suoi interessi si volsero ad opere che h anno onorato la nostra città per la severa qualità artistica, come la progettazione di Carri di Piedigrotta che tornavano d alle sfilate napoletane col nostro gonfalone sempre onorato del primo premio. E alla progettazione di Altari per la Festa dei Quattro Altari. Per qualcuno di questi ho avuto il piacere di collaborare, insieme a Donato Frulio, per la realizzazione di altorilievi per un Arco di Trionfo che Raffaele Raimondo aveva progettato, in perfetto stile architettonico romano antico, che fu collocato in Via Vittorio Veneto. Traffico poco, si poteva fare. E’storia di molti anni fa. L’espressione più alta del lavoro di Raffaele Raimondo fu quella dei progetti per le luminarie della nostra Festa, inventando rappresentazioni cinematiche, luci in movimento, che sono state esportate in Italia e all’estero.

Personaggio in vista, inventò, con altri amici soci del Circolo Artistico Domenico Morelli un giornale murale realizzato con scrittura e disegni a mano, un periodico che ebbe grande risonanza nella città: esposto alle pareti del circolo, divenne il nostro Travaso delle Idee, un settimanale satirico che lo aveva ispirato. Quel giornale aveva redazione quasi segreta prendendo forma sui banconi della Maglieria Albanese, un negozio accorsato su via Beato Vincenzo Romano. Ed alcune di quelle penne man mano trasmigravano al periodico La Torre al quale entrai, patuto da giovane io di penna. Vent’anni, lì. Poi con altre testate. Ci son tornato, dopo parecchi anni. Lì incontrai di nuovo Raimondo, eccellente penna che non si esaurì con pagine di costume e di storia torrese. Scriveva di tutto, con spirito mordace, divertito e divertente ma anche come attento osservatore della vita pubblica, con autentico sentimento di torrese amante della città. E approfondendo ricerche storiche su Torre del Greco, e cultura dei personaggi che l’hanno illustrata. In tl tempo sono nati, ed ora son rari, due testi quali Itinerari Torresi e, anni dopo, Uomini e fatti della antica Torre del Greco. Il multiforme ingegno correva da amene scritture a serissime ricerche sulla nostra storia. Non è raro trovarlo nelle bibliografie di studiosi e nelle ricerche per tesi di Laurea.



Ecco, questa famiglia si perpetua col figlio di Raf. Rai. come si firmava talvolta il detto Raffaele Raimondo: é Francesco Raimondo che noi amici amabilmente chiamiamo Ciccio. Della sua giovinezza sappiamo, andava a scuola attraversando studi classici fino alla laurea in Storia e Filosofia, e che lasciò l’incerto insegnamento per più stabile impiego negli uffici comunali dedicandosi, dopo aver aggiunto alla laurea anche un diploma di assistente sociale, con attenzione ai problemi della terza età, tossicodipendenze, adozioni.Ciccio è uno spirito libero e svaria in innumerevoli interessi, teatro o poesia o pittura, non c’è differenza. Per lui tutto diventa scena, è un improvvisatore, sa imitare atteggiamenti, pose da quelle auliche a quelle comiche, coinvolge, non vi stancherebbe mai. Ha prodotto teatro, affabulazioni, lezioni di mimica, scrittura, insomma è un produttore d’arte. Conversatore irresistibile è di simpatia unica, anche parlando di cose serie ci infila una botta di umorismo, è attore nato, glielo diciamo spesso, Tra il serio e il faceto, come da insegnanti dicevamo degli alunni, è intelligente ma non si applica. Nel senso che tanta energia disperde avendo nel manico tante possibilità. E non vi dico quando fa imitazione di santi in processione o il Pulcinella, con maschera e costume.E’ proprio irresistibile.
Abbiamo detto il minimo, il nostro spazio questo è,ho fatto del mio meglio. Buona lettura.
Ciro Adrian Ciavolino

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 25 marzo 2015