Il professore urlò come una furia: “Vada fuori immediatamente!”, con l’indice accusatorio rivolto verso di me, e non dovette ripetermelo due volte. Quando fui riammesso in classe, l’ora successiva, però scoprii che il terribile Magliulo non aveva infierito: nessuna nota sul registro di classe, come avevo temuto. Anzi, mi dissero che dopo la mia violenta, ma giusta estromissione dall’aula, aveva tolto gli occhiali e, con il volto nascosto dietro le mani, rideva, si vedeva che rideva proprio di gusto!

Quella volta rise pure Livia, l’imperturbabile, algida, Livia, quella che non teneva in nessuna considerazione i “maschietti” della classe, troppo piccoli per interessare una donna fatta come lei. E’ vero che aveva un paio d’anni in più rispetto a noi, due anni che aveva perso in ripetenze, ma non era soltanto per quelli che Livia ci snobbava. Il fatto è che lei era bella, tanto bella che non ci provo nemmeno a descriverla, le parole non le renderebbero giustizia.



Aveva un’innata eleganza, un portamento così particolare… Sembrava una principessa, e aveva pure il Principe Azzurro, un ragazzo, anzi per noi era “un vecchio di 26 anni”, laureando in Medicina. All’uscita della scuola veniva a prenderla sul suo “cavallo bianco” – era una ‘Guzzi 350’, un mostro per quei tempi – e insieme volavano via. A me e a tutti gli altri che seguivamo incantati quella sorta di visione, restava solo il sogno e, per quanto mi riguarda, non ho difficoltà a confessare che non c’era notte senza che la “principessa” entrasse prepotentemente nelle mie tormentate fantasie d’adolescente…

Però, anche le “dee” possono avere qualche difetto, persino Venere pare che fosse strabica… Livia, per quando riguarda l’aspetto fisico, difetti, ve l’assicuro, non ne aveva, e in quanto agli occhi, cos’erano quegli occhi! Due stelle rubate al cielo, di un azzurro intenso come il mare cristallino della Sardegna e quando ti guardava…

Beh, lasciamo perdere, torniamo al suo “difettuccio”. Livia stava proprio bisticciata con il latino. La lingua di Cicerone, per lei, era come il giapponese per quasi tutti i comuni mortali che non hanno gli occhi a mandorla, e un giorno mi capitò l’occasione di sfruttare questa sua deficienza…

Era successo che Mimì, quel giorno, m’aveva veramente fatto arrabbiare. Adesso vi racconto. Ogni tanto, più per darci delle arie da grandi che per vizio, fumavamo delle sigarette, di nascosto, nei bagni della scuola, “in condominio”, perché di soldi per acquistarle in buon numero non è che ve ne fossero molti. Avevamo un accordo, noi “maschietti” della classe. A turno, rinunciavamo al panino che costituiva il sostentamento delle nostre giornate scolastiche e con il denaro risparmiato si acquistavano 5/6 sigarette che all’epoca si vendevano anche sfuse.

E per lo spuntino salva-fame? Un morso dal panino di uno, un’azzannata su quello di un altro, e il problema era risolto! Nei bagni eravamo in quindici, con cinque sigarette! Mimì quella mattina era arrivato per ultimo, reduce da l’ennesima, ‘chilometrica’ interrogazione.

“Ernesto” mi disse, quella volta senza tartagliare. “E allora me l’hai conservata un poco di sigaretta?”

“Mi dispiace, Mimì, proprio adesso ho buttato via il filtro!” risposi, mortificato.

“Non fa niente…” riprese Mimì. “Vuol dire che me ne fumo una delle mie…”

E tirò fuori da una tasca un pacchetto pieno di ‘Marlboro’!

Avete capito l’infame? Noi, in quindici, a stentare e a sbuffare come delle locomotive a vapore dietro il fumo di cinque, fetenti ‘Nazionali’, e lui che si sollazzava con le “bionde”!
‘E’ proprio vero’ – pensai. ‘Contadino, scarpe doppie e cervello fino’, ma questa Mimì me la paga!’

Immediatamente mi misi a pensare: dovevo inventarmi qualcosa per punirlo come meritava! Stavolta, però, doveva essere uno “scherzo pesante”, sempre non cattivo, ma pesante… Per questo, avevo bisogno di una “complice insospettabile”, e nessuna più di Livia faceva al mio caso.

Era la fine di maggio e s’avvicinava la data del terzo compito in classe di latino. Per Livia, molto dipendeva da quel compito, la sua ultima spiaggia: se fosse andato male anche quello, forse poteva dare l’addio all’ammissione per la maturità! Io, in latino, ero un ‘super’, sembravo essere nato nell’antica Roma, tale era la facilità con la quale dialogavo con Orazio e Seneca, con Catullo o Tertulliano. Verso la fine dell’ultima ora, mi avvicinai timidamente alla “Dea” e, sotto voce, le sussurrai: “Il compito di latino te lo passo io”.

Livia si girò verso di me, mi guardò con quel suo sguardo che ti faceva sciogliere tutto dentro, e poi: “Io non t’ho chiesto nulla!” rispose, e mi fece gelare. Ma dopo un po’ dovette rifletterci su, scese dall’Olimpo e: “Che cosa vorresti in cambio del tuo favore? Nessuno fa niente per niente…” mi disse, con la sua aria da donna adulta, navigata.

“Assolutamente niente, però…” insinuai, incoraggiato dal suo interesse.

“Lo sapevo che c’era un però? Avanti, sentiamo…” acconsentì la divina, e mi sembrò che già si stesse preparando a mollarmi un ceffone.

Le dissi subito, a scanso di equivoci, che la ‘ricompensa non era (ahimè!) quella che lei aveva, ingiustamente, immaginato… Ecco, volevo solo dare una bella lezione a quel taccagno di Mimì. Le raccontai l’accaduto e le esposi il mio pano per la vendetta, che era perfetto, avrebbe sicuramente funzionato, a condizione che lei avesse accettato…

Anche questa volta Livia si fermò un poco a riflettere, ed io ero sulle spine…

“D’accordo, Ernesto, ci sto!” disse, poi, tutto d’un fiato, e mi tese la mano per suggellare il patto.

“Ma come farai a convincerlo? Mimì non è scemo… La tua proposta gli sembrerà talmente assurda… No, non ne facciamo niente, è impossibile, non cadrà nel tranello, capirà subito che si tratta di uno scherzo…” mormorai, preso da un dubbio improvviso e stupito dalla sua accondiscendenza.

“Sta’ attento tu, piuttosto, a non fare scherzi, e passami la traduzione punto per punto, che poi ci penso io a modificare qualcosa, così il prof non se ne accorge” fece la dea, sorridendo. “Ti assicuro che quando voglio… Su, dammi il numero di telefono di Mimì!” aggiunse, e mi guardò con gli occhioni luccicanti.

Allora non ebbi più dubbi: Mimì non aveva scampo!

Il “piano d’azione”, studiato nei minimi dettagli, scattò immediatamente e coinvolse tutta la classe, non appena Livia mi dette l’ok: il ‘pesciolino’ aveva abboccato, era caduto nella rete! La “divina” s’era dimostrata tale anche come commediante: aveva convinto Mimì ad accettare un appuntamento con lei! L’incontro, e questa fu una diabolica variante al mio piano congegnata da lei, sarebbe avvenuto addirittura a Capri!

Nell’Isola delle Sirene, Livia e Mimì avrebbero trascorso insieme l’intera giornata, e chissà, se le cose sarebbero andate come lei prevedeva, anche la notte… La mia complice mi raccontò che non era stato facile, che Mimì aveva resistito a lungo. Si era preoccupato del suo fidanzato che poteva scoprirli, le aveva chiesto per quale misteriosa ragione una ragazza come lei mostrasse interesse per uno che sicuramente non era un campione di bellezza né di simpatia, ma alla fine aveva capitolato! Livia era stata capace di vincere le giuste titubanze di Mimì: il fidanzato, stava a Roma per delle ricerche per la sua tesi di laurea; in quanto al suo interesse per lui, beh, è risaputo che alle donne belle capita spesso di sentirsi ‘attizzate’, affascinate, dagli uomini, gli aveva detto, “un po’ bruttarelli”!

E così l’aveva persuaso anche su questo punto, tirando in gioco “la legge dei contrari, degli opposti che si attraggono”! Il ‘rendez-vous’ era stato fissato per il sabato, e quel sabato di fine-maggio al molo Beverello c’era tutta la quarta A del Pimentel Fonseca. Forse, in quel lontano maggio dei “mitici anni ’60”, nacque il filone di massa, è probabile che sia così…

L’accordo tra i due potenziali amanti prevedeva che avrebbero raggiunto l’isola separatamente, per non dare nell’occhio…

Livia prese il vaporetto alle otto precise e tutti noi, come d’accordo, c’imbarcammo con lei.

Mimì montò su quello delle nove. Era agghindato come Livia aveva voluto. Pensate, con l’estate ormai alle porte, con una temperatura che quel giorno sfiorava i 32 gradi all’ombra, era tutto vestito in grigio scuro che – gli aveva detto la “maliarda” – lo ‘sfilava’ non poco!

E poi, come ciliegina sulla torta, un’inguardabile, sgargiante cravattona che gli serrava la camicia a mo’ di capestro…

Ma, d’altra parte, come biasimarlo? Chiunque al suo posto si sarebbe comportato come lui! Livia gli aveva chiesto l’abito scuro, elegante, la cravatta, e lui che faceva, non l’accontentava? Durante la traversata il meschino dovette patire le pene dell’Inferno… Si sa che i raggi del sole sono attirati dai colori scuri, ma sicuramente Mimì non dovette farci troppo caso. E chi potrebbe dargli torto? Il “paesanotto” era totalmente preso dal pensiero del Paradiso che l’attendeva di lì a poco, non appena approdato sull’Isola delle Sirene!

Ed è anche comprensibile, allora, che quando arrivò il momento della verità, a Mimì solo per miracolo non venne un “coccolone”. Aveva immaginato di vivere in quell’isola di sogno la sua grande avventura, s’era lasciato trasportare dalle più sfrenate e inenarrabili fantasie…

Capì subito tutto, Mimì, ve l’ho detto che non era uno sciocco… Non appena il vaporetto accostò al molo, vide Livia, e con lei c’era il fidanzato con la sua fiammante, inseparabile “Guzzi”. Vide immediatamente anche me e tutti gli altri. C’eravamo attrezzati proprio bene, con gli striscioni che inneggiavano al “rubacuori”, i tamburi, le trombette, persino i putipù…

Per tutta la settimana avevano lavorato alacremente per preparare quella variegata, estemporanea scenografia. Anche le altre ‘quarte’ del Fonseca, informate dell’evento, avevano voluto collaborare: si trattava d’impartire la giusta punizione ad uno che aveva osato tradire lo spirito di gruppo!

“Grandi figli di…” gridò Mimì, non appena fummo a tiro di voce.

E quella volta non balbettò: la frase che metteva fortemente in dubbio l’onestà delle nostre mamme, gli venne fuori tutta intera, senza tentennamenti scandita con estrema chiarezza!
Ernesto Pucciarelli