Che tempi, non si capisce più niente! Viviamo in un mondo che sembra governato dalla follia! Leggi un giornale? Segui il notiziario alla Tv? Di che cosa si parla? Furti, rapine, imbrogli, frodi, omicidi, violenze… Pare che l’umanità impazzita non sappia dedicarsi che a queste perverse attività. E’ naturale che, in un simile contesto, finiamo con il guardare in cagnesco chiunque ci si avvicini. Proviamo quasi meraviglia quando – ed è raro! – incontriamo qualcuno che sembra una ‘brava persona’, inizialmente siamo, giustamente, sospettosi, guardinghi…

“Vuoi vedere che mi sto sbagliando?” pensiamo. “Adesso questo tira fuori la pistola e mi fa secco”.

Poi, piano piano, se non ci ha ammazzati, se non ci ha rivolto proposte oscene, se ci rendiamo conto che sì, ci troviamo proprio di fronte a uno che è normale, abbassiamo la guardia. Certo, però, che è difficile vivere così, sempre sugli attenti, sempre sul chi va là, è veramente stressante…



Non esiste un posto dove uno possa sentirsi al sicuro, neppure a casa propria. Anche lì, all’improvviso, entra un tizio, si porta via tutto e, se non è soddisfatto del frutto della razzia, una bella botta in testa e ti manda da San Pietro, o da Belzebù, ma della tua destinazione nell’Aldilà però non è responsabile il furfante, questa dipende esclusivamente da te…

Che tempi! Niente è più come prima! Una volta, per esempio, si andava a scuola per studiare. Forse è vero, come dicono, che si studiava male, c’erano troppe nozioni… Ma vi posso assicurare che non era per nulla facile… Si sgobbava, sui libri, e quando la gobba che t’era venuta non risultava sufficientemente prominente, ti facevano ripetere l’anno, altro che debiti e corsi di recupero che non recuperano proprio niente!

Ma lasciamo stare, non sono certamente le nozioni a determinare il cattivo funzionamento di gran parte della nostra scuola, anche se poi è mortificante scoprire che in Europa siamo quasi ultimi per livelli di competenze generali. Ignoriamo persino le più banali nozioni, le tanto criticate nozioni. Molti liceali hanno problemi finanche con le tabelline, per qualcuno il Decamerone è un libro pornografico, Dante un ‘imbranato’, perché se avesse avuto con sé il navigatore satellitare non si sarebbe smarrito nella “selva oscura”!

Comunque, è indiscutibile che la scuola di alcuni anni fa era seria, forse anche un tantino severa, ma seria. I professori, ad esempio, ci davano del “lei”, anche se eravamo dei mocciosetti ed indossavamo ancora i pantaloncini corti, a mezza gamba. Quel “lei” – e questo l’ho capito molto tempo dopo, allora mi sembrava assurdo – non era soltanto un modo per rimarcare la distanza abissale che separava i “signori docenti” da noi, li poneva in una dimensione distaccata, diversa dalla nostra, lontana anni-luce, irraggiungibile; era anche la maniera per farci sentire “più grandi”: avevamo ormai l’età giusta per assumerci le nostre responsabilità!

Adesso è diverso, gli insegnanti sono molto più vicini ai loro alunni, praticamente sullo stesso piano. C’è democrazia, ed è giusto, ma forse anche per questo c’è tanta confusione, come succede nelle famiglie quando i genitori, più che fare i genitori, pensano bene di diventare i “fratelli” dei loro figli!

E che cosa non succede, oggi, nelle scuole? Ad esempio, sono sempre più numerosi i ‘bulli’, perversi adolescenti che si divertono a tiranneggiare, persino a picchiare selvaggiamente i loro compagni più deboli, meglio ancora se diversamente abili! Poi, tutti orgogliosi, sentono il bisogno di rendere partecipe la collettività della loro bravata mandando il filmato su internet.

Sia ben chiaro: anche noi ragazzi di un tempo che non è proprio ‘remotissimo’, se capitava a scuola l’occasione per fare un poco di baldoria, non ce la facevamo sfuggire. Se capitava, ce la prendevamo, ma era solo divertimento, non c’era cattiveria e mai l’intenzione di mancare di rispetto, o peggio ancora, di far del male! In tutte le classi c’era sempre “il tipo soggetto”, il capro espiatorio, ma ci si limitava a prenderlo bonariamente in giro, a fargli qualche scherzo ben congegnato e basta.

Per esempio, nella mia classe, alle superiori, c’era Domenico La Marca, Mimì per gli amici. Veniva da un paesino nel nolano del quale mi sfugge il nome. Noi lo chiamavamo ‘il campagnolo’, ma non era per la sua – sia chiaro, rispettabilissima origine – che lo si prendeva in giro. Mimì era una macchietta, “la personificazione non volontaria della comicità”. bastava guardarlo per ‘scompisciarsi’ dalle risate!

Rosso di capelli, ma di un rosso strano, innaturale, come se ogni mattina l’intingesse in una salsa di pomodori andata a male, quella sua assurda criniera; pieno di lentiggini, più “esteso” in larghezza che in altezza: questo era il catastrofico ritratto del nostro Mimì. E poi, poverino, quegli occhiali, che non erano come tutti gli occhiali, sembravano una spirale! Tutti cerchi concentrici, una sorta di caleidoscopio, e gli occhi di Mimì che scomparivano dietro quelle fantasmagoriche figure ellittiche.

Però, vi assicuro che per quelle lenti nessuno s’è mai permesso di prenderlo in giro. Mimì era miope come una talpa, ed era un suo problema reale… Sulle disgrazie non si scherza, neppure quando si è ragazzi!

Per completare il già complesso quadro, il nostro amico aveva pure il problema della balbuzie che, ovviamente, si accentuava durante le interrogazioni. I professori, per la verità, mostravano di tenere in considerazione questa sua difficoltà e cercavano in tutti i modi di aiutarlo. Aspettavano le sue risposte sillabate con grande pazienza, non lo mortificavano quando si soffermava interi minuti su una parola che proprio non voleva saperne di fuoriuscire da quelle labbra rinsecchite dalla tensione emotiva.

Quasi sempre lo rimandavano a posto dicendogli che avevano capito e apprezzato il suo impegno nello studio, comprendevano i suoi disagi e gli davano la sufficienza “per incoraggiamento”. Il massimo accadde durante un’interrogazione in filosofia, con il “terribile” professor Magliulo.

“Che cosa dice Kant nella ‘Critica della ragion pura’?” chiese il prof, ed aggiunse: “Si limiti ai concetti essenziali, La Marca, solo agli essenziali…”.

“La ragione per Ka…” cominciò Mimì. “La ra…ragione per Ka… Ka…” e quel benedetto Kant gli rimaneva in gola. Mimì allora fece un eloquente gesto con la mano sinistra, che si protese fin sotto il naso del professore: lo pregava, in quel modo, di pazientare solo un altro poco e poi la risposta sarebbe arrivata. Il “filosofo”, con una mimica altrettanto chiara, incrociò le braccia, inarcò lievemente le spalle.

“Sono qui, e chi si muove!” gli rispose, sempre tacitamente.

Mimì, rassicurato, inspirò profondamente, si tolse gli occhiali, tirò fuori dalla tasca della giacca un fazzoletto che sembrava un lenzuolo, si asciugò il sudore che grondava copioso dalla sua fronte, come durante una sauna, nonostante i rigori di un gennaio che più freddo di così non si poteva, e ricominciò.

“Allora, dicevo… Per Ka… Per Ka…ka…”

Anche questa volta non riuscì a pronunciare per intero “Kant”. Non so cosa mi prese. Completai io la frase: “Ti devi prendere un bel lassativo!”, dissi e cominciai a ridere senza freni. Potete immaginare quello che successe. Si sa che il riso è coinvolgente, contagioso… In un attimo si scatenò il finimondo! Anche Mimì era piegato in due davanti la cattedra, e si manteneva l’addome.

Continua…

Ernesto Pucciarelli