Invece, conosci uno, e senza che tu riesca a spiegartelo, ti condiziona per sempre la vita…
E’ quello che sta pensando Serena, mentre la prima pioggerella autunnale, ora aggregandosi ora dividendosi in sottili rivoli, sta rigando i vetri della finestra della sua stanzetta, attraverso la quale sta guardando il mare.
Sono passati quasi trent’anni, eppure il ricordo di quella giornata è impresso nella sua mente, come se fosse successo solo ieri…
Era luglio inoltrato… La pensione ‘Azzurra’ cominciava a riempirsi di clienti, solo altre due o tre stanze disponibili. Rosa s’apprestava a preparare la cena per i suoi ospiti, quando il suono insistito del campanello la costrinse ad abbandonare nel lavello il pollo ruspante al quale aveva appena strizzato il collo e che aveva iniziato a ripulire delle penne…
“Chi diavolo sarà, a quest’ora?” imprecò, mentre si dirigeva verso la porta d’ingresso. “Eccomi, eccomi, sto arrivando!” aggiunse, innervosita, perché il suono fastidioso del campanello aumentava ancora d’intensità.
Se la prese anche con il povero Pasqualino: per quale motivo non era andato lui ad aprire la porta? Poi sorrise. Si ricordò che l’aveva mandato circa mezz’ora prima a casa degli Scognamiglio, che abitavano un quartino di sua proprietà, ma che quando – il giorno quattro d’ogni mese – dovevano pagare l’affitto si ‘dimenticavano’ spesso di farlo.
Rosa odiava andare di persona dagli Scognamiglio… Quando vi era stata costretta, aveva dovuto sorbirsi la sequela infinita dei guai passati dai suoi inquilini e che, a loro dire, erano stati la causa del ritardo nel pagamento del fitto.
Doveva avere un poco di pazienza, donna Rosa: loro erano persone per bene… lo avrebbero pagato, il pigione, non si doveva preoccupare… Che cosa cambiava se lo facevano con qualche giorno di ritardo?
Per la verità, il più delle volte non si trattava di pochi giorni di ritardo, ma addirittura di mesi!
Rosa, comunque, faceva finta di compenetrarsi nelle ‘disgrazie’ degli Scognamiglio, li rassicurava e se ne andava dicendo loro che sarebbe ripassata più in là, per riscuotere.
Ecco perché, poi, ci mandava Pasqualino: lui era più ‘tosto’, non si faceva incantare dalle chiacchiere…
“L’affitto lo dovete pagare, e subito!” diceva agli Scognamiglio, con tono di voce deciso. Non c’erano né se e né ma: non si sarebbe mosso di lì, fino a quando non vedeva il danaro! Lui era soltanto un dipendente di donna Rosa: gli era stato affidato il compito dell’incasso e certamente non poteva non portare a termine quanto ordinatogli dalla sua padrona!
Il pensiero di Pasqualino, alle prese con i suoi inquilini, gli strappò un sorriso… Rosa non era più tanto arrabbiata, quando finalmente aprì la porta…
Vide tre o quattro giovani, appoggiati l’uno all’altro, tanto vicini che non riuscì a capire subito in quanti fossero.
Uno di essi era ‘attaccato’ al campanello, la testa bassa, e continuava a ‘martoriarlo’, nonostante l’uscio, ora, fosse aperto.
Rosa stava per partire in quarta: adesso l’avrebbe sentita, quello screanzato! Come si permetteva di bussare in quel modo alla porta della sua pensione? Ma che, era ubriaco?
Proprio in quel momento, il giovane sollevò la sua testa bionda e la guardò dritta negli occhi.
Immediatamente la rabbia le sbollì: Rosa raramente aveva visto in vita sua uno sguardo così buono, così dolce! Le ricordavano qualcosa, gli occhi di quel ragazzo, qualcosa che in quel momento le sfuggiva…
Subito dopo, però, il ragazzo riabbassò la testa, la ripiegò sul braccio, e continuò a fissarla di sbieco con un solo occhio, in quanto non riusciva assolutamente a tenerli aperti tutt’e due.
“Io Hans…” disse con una voce fioca, che faticava non poco anch’essa per venir fuori dalla sua gola. “Tu nonna, tonna, donna Rosa?”
“Sì, sono io… Sono donna Rosa…” gli rispose, mentre non poteva fare a meno di sorridere.
“Tu avere camere per noi? Noi volere tanto dormire…” le chiese Hans e fece per avanzare verso di lei ma, essendo malfermo sulle gambe, le rovinò quasi addosso.
Pasqualino, che stava rientrando proprio allora, osservava di lontano la scena…
Affrettò il passo quando vide che il giovane s’era abbarbicato a Rosa… Equivocò, pensò che stesse per aggredirla…
Cominciò ad urlare come un forsennato. Rosa, continuava a ridere… Con un cenno, fece capire a Pasqualino che non stava correndo alcun rischio… Solo che quel benedetto ragazzo pesava una tonnellata: che si affrettasse, il buon Pasqualino, a darle una mano per condurre lui ed i suoi amici, altrettanto, ‘incoscienti’ e ‘dormienti’, verso l’ascensore.
L’indomani mattina, Rosa e Pasqualino provarono più volte a ridestare i ragazzi, che avevano sistemato alla meno peggio in due camere confinanti.
Soltanto dopo mezzogiorno, Hans ed i suoi amici cominciarono a dare segni di vita.
Occorsero ‘ettolitri’ di caffè amari, per riportarli alla ragione… Rosa s’era occupata delle due ragazze, e Pasqualino aveva prestato soccorso ad Hans ed al suo amico.
Quando finalmente riuscirono a metterli in piedi, li condussero nella piccola hall della pensione, dove avevano preparato una ricca prima colazione.
Hans era l’unico a cavarsela discretamente con l’italiano; i suoi amici, cercavano di comunicare a gesti con Rosa e con Pasqualino.
Alla fine, i quattro riuscirono, pur se a fatica, a far capire il motivo per il quale la sera prima s’erano ridotti in quello stato pietoso.
I giovani tedeschi, appena giunti a Sorrento con una corriera, erano stati ospiti di altri amici che stavano festeggiando il compleanno di una ragazza italiana. Non erano avvezzi alle bevande alcoliche, solo qualche mezza ‘birretta’ il sabato, per stare un poco in allegria.
Nella villetta dove si teneva il festino, invece, i liquori scorrevano a fiumi. Hans ed i suoi amici non sapevano quanto avessero realmente bevuto… Ricordavano soltanto che, a un certo punto, li avevano caricati su un’auto e poi li avevano fatti scendere davanti la pensione ‘Azzurra’.
“E come mai, proprio alla mia pensione?” domandò Rosa, incuriosita.
“L’indirizzo era segnato sul foglietto che avevo dato al mio amico Arthur, prima che iniziasse quella cattiva festa…” rispose Hans.
“Noi siamo di Germania…” continuò il giovane, “Mio padre è stato in Italia due anni, quando c’era la guerra… Lui ufficiale dell’esercito…”
Il fatto che Hans stesse rievocando il triste periodo della guerra, e i tedeschi, provocò in Rosa una sensazione di fastidio…
Poi, le vennero in mente le parole di Padre Francesco, che aveva pronunciato proprio la domenica prima, all’ultima messa, quella del vespro, alla quale Rosa non mancava mai, neppure quando le capitava d’avere la febbre.
A Sorrento, come in quasi tutte le altre parti d’Italia, stavano cominciando ad arrivare degli immigrati di colore. La gente aveva paura… Il contatto con i diversi genera spesso dei timori…
“Perché pensate che ci possano fare del male?” urlò dal pulpito il buon prete, durante la predica. “Solo perché hanno il colore della pelle diverso dal nostro? Sì, indubbiamente tra questi nuovi nostri fratelli, ci sarà qualcuno che tende a delinquere, qualche poco di buono… Ma voi siete proprio sicuri che tutti coloro che si ‘battono il petto’, anche adesso, tra di noi, qui, in chiesa, siano delle persone per bene, dei veri cristiani? Non facciamoci condizionare dalle apparenze, miei cari fratelli… I pregiudizi, se non impariamo a combatterli, a vincerli, sono pericolosi: possono fare più danni delle guerre!” concluse il suo sermone Padre Francesco.
Rosa era stata particolarmente colpita dalle parole del prete… Se quello che aveva detto padre Francesco, era vero, per i neri e per gli altri nostri fratelli ‘diversamente colorati’, per quale motivo non poteva valere anche per i tedeschi?
Sì, c’avevano fatto la guerra, erano stati crudeli, però… Tutti malvagi? Tutti pronti ad uccidere solo per il gusto di farlo?
Quasi stesse intuendo i pensieri di Rosa, Hans riprese: Tu canosci mio padre… Lui dato me l’indirizzo della tua pensione… Tanti anni sono passati, ma forse tu ricordi… Suo nome è Karl, Karl Stainer…”
Rosa ebbe come un sussulto: da quando aveva visto quel ragazzo, stava lambiccandosi il cervello: perché aveva avuto la netta sensazione che non fosse un estraneo, per lei? Adesso tutto le era chiaro: ecco di chi erano quegli occhi, a chi apparteneva quello sguardo… Hans era il figlio di Karl, e come avrebbe potuto dimenticarsi di lui?
Fino a quando era stato in vita Vincenzo, aveva mantenuto i contatti con Karl, si scrivevano ogni tanto. L’aveva pure invitato a trascorrere qualche giorno alla sua pensione, ma il giovane tedesco, chissà per quale motivo, non era mai andato a trovarla.
Dopo la disgrazia, sicuramente per un eccesso di zelo, ma anche per qualcosa che era accaduto durante il loro brevissimo incontro, e che ancora non riusciva a spiegarsi, non gli aveva più scritto, e pure Karl, non ricevendo più risposte dalla donna, ad un certo punto, aveva interrotto la loro relazione epistolare. A Rosa sembrava di ‘mancare di rispetto’ al suo Vincenzo, anche mantenendo il suo innocente rapporto con il suo amico tedesco.
Ma come aveva conosciuto Karl?
Il loro incontro avvenne una notte, nella primavera del 1944, e durò soltanto poche ore.
Poche ore… A volte capita, nella vita… Spesso, non conta la ‘durata’ di un rapporto, ma la sua intensità, il coinvolgimento emotivo che ne scaturisce…
di Ernesto Pucciarelli
Fine quarto capitolo
Sommario:
Capitolo I – Meta di Sorrento
Capitolo II – Lo scialle lucente
Capitolo III – Serena
Capitolo IV – Hans Stainer