Tre o quattro giorni, una settimana al massimo… Poi, il silenzio totale. Il ciclone “Cleopatra”, che ha devastato la Sardegna, sarà dimenticato, entrerà a far parte, come tanti, della sfera dei tristi ricordi…

I titoloni a tutta pagina dei quotidiani, i ‘servizi’ dei telegiornali, i dibattiti, le inchieste, le interviste, le polemiche sterili, inutili, le strumentalizzazioni politiche, la ‘caccia’ agli eventuali responsabili della tragedia che, con il consueto senno di poi, si sarebbe potuta evitare con la prevenzione, la tutela del territorio…



Tutto questo sarà ‘bruciato’ nell’arco di in breve periodo… Il tempo necessario perché succeda qualcos’altro di raccapricciante, in grado di calamitare la pubblica attenzione…

“A Genova, qualche anno fa, le vittime furono di meno…” sta affermando uno dei tanti esperti che partecipa all’ennesimo dibattito televisivo.

Una breve, studiata, pausa, e poi continua, nel tentativo di ‘confortare’ gli ascoltatori: “Ma ci pensate a quanti morirebbero, in Campania, se lo Sterminator Vesevo decidesse di risvegliarsi?. Altro che una decina, o poco più di morti… Lì saremmo nell’ordine delle centinaia di migliaia di decessi…”

Rabbrividiamo, proiettandoci mentalmente nel funesto futuro che attende, inesorabile, il popolo che si addensa alle falde del tremendo vulcano e torniamo a deprimerci.

“Già…” riflettiamo. “Anche quelle sono morti annunciate: però se ne riparlerà quando (speriamo almeno tra un miliardo di anni!) la catastrofe accadrà.

Per adesso, concentriamoci su quello che è avvenuto in Sardegna…

Il nostro, lo sanno anche le pietre, è un territorio a rischio, reso ancora più vulnerabile dalla mancanza di prevenzione, dagli abusi e dai soprusi, dagli scempi che vi sono stati perpetrati, da sempre.

Così succede che, quando le forze della natura si scatenano come, probabilmente, non era mai accaduto nel passato del quale conserviamo “memoria”, trovano terreno particolarmente fertile per arrecare danni incalcolabili…

E, purtroppo, ci scappano anche ‘i morti’; quelli reali e quelli che non sono deceduti materialmente, ma che sono morti dentro, distrutti da una tragedia che non potranno mai cancellare dalle loro menti e dai loro cuori.

Passata l’ondata emotiva, nessuno si ricorderà più delle vittime. Resteranno ‘i numeri’, per aggiornare le statistiche: sedici morti (o diciassette?) in Sardegna, per colpa del ciclone “Cleopatra”… e le croci dolorose, infisse perennemente negli animi dei loro familiari, e di tutti quelli con i quali quegli sventurati avevano un legame affettivo.

03Nella piccola, ma confortevole villetta, in aperta campagna, a pochi chilometri da Olbia, Domenico e Maria sono andati a letto da poco.
Un vento impetuoso stride fra i rami degli alberi e sibila sinistramente. Le raffiche di vento sono accompagnate da una pioggia insistente, che sta aumentando gradatamente d’intensità.
“Maria, senti quant’acqua viene giù… Questo non mi sembra uno dei soliti temporali…” dice Domenico, preoccupato.
“Non ci pensare… Su, cerca di dormire, domani dobbiamo alzarci all’alba… C’è da sistemare l’ovile e abbiamo altre mille cose da fare…” gli risponde, calma, Maria.
Domenico si gira su di un fianco e prova a riaddormentarsi, come gli ha suggerito la moglie, ma inutilmente. D’improvviso, la finestra della loro camera viene spalancata da una ventata paurosa. I battenti urtano violentemente contro la parete, i vetri s’infrangono in mille pezzi.
“Accidenti, fuori si sta scatenando l’inferno! Lo dicevo che questa è una tempesta
fuori del normale… Il vento e la pioggia sembra che vogliano portarsi via la nostra casa e tutta la collina…” si lamenta, spaventato, Domenico.
“Hai ragione…” conviene Maria, mentre salta giù dal letto e si precipita in cucina per munirsi di una scopa e di una paletta per raccogliere i frammenti di vetro che si sono sparsi per tutta la camera.
Domenico s’appresta a darle una mano.
Prima, però, prova ad abbassare la tapparella per impedire alla pioggia di penetrare all’interno.
“Misericordia!” grida, dopo aver guardato fuori della finestra. “Maria, la montagna… E’ un fiume d’acqua, quello che sta venendo giù…”
La donna s’avvicina al marito e, tremante, si stringe a lui.
“Mio Dio… Spazzerà via tutto, quell’acqua… Però mi sembra che vada in un’altra direzione, verso il centro della città… Noi, qui, non dovremmo correre pericoli…”
“Forse è come dici tu, ma il nostro ovile è proprio sul versante meridionale della collina…”
“Sì, l’acqua sta scendendo principalmente verso Sud…” concorda la donna. “Presto, sbrighiamoci, dobbiamo provare a salvare le pecore!”
Le pecore… Maria e Domenico hanno sfacchinato tutta la vita per mettere insieme, poco per volta, il loro gregge… E adesso, nell’arco di pochi secondi, la furia delle acque può annullare, vanificare, tutti quei sacrifici.
In un batter d’occhio, si vestono alla meno peggio e si precipitano verso la loro auto.
Domenico sta per avviare il motore, in preda all’apprensione.
“Ma dove state andando, con questa tempesta? Siete ammattiti?” prova a bloccarli Sebastiano, il loro vicino di casa, che è sceso in cortile per rafforzare le ‘difese’ del piano-terra della sua abitazione ammassando davanti il portone d’ingresso dei pesanti sacchi di segatura.
“In collina… All’ovile… Il torrente d’acqua potrebbe travolgerlo…” gli risponde
frettolosamente Domenico, continuando ad armeggiare con il motorino d’avviamento del suo fuoristrada.
“E che cosa pensate di fare, andando lassù? Se l’acqua arriva, non c’è scampo per le pecore, e neanche per voi… Su, restate qui, è più prudente… Io ho quasi finito: vi do una mano a mettere dei sacchi anche davanti la porta della vostra cantina…”
“Pure se si dovesse allagare, poco importa, non c’è niente di valore, in cantina…” interviene Maria. “Le pecore, invece, sono tutto quello che abbiamo… Loro le dobbiamo salvare…”
“Siete proprio delle teste di coccio!” s’arrabbia Sebastiano. “Avete dimenticato che sulla collina c’è la diga? Se dovesse cedere, Dio ce ne scansi e liberi…”
“Se crolla la diga, si porterà con sé l’intero paese… Amen, moriremo tutti quanti, non solo le pecore…” l’interrompe Domenico, e ingrana rabbiosamente la marcia dell’auto.
La pioggia è aumentata ancora d’intensità. Domenico guida quasi alla cieca, i tergicristalli non riescono a liberare il parabrezza dalla valanga d’acqua che investe il suo fuoristrada.
“Meno male che siamo quasi arrivati!” sbotta l’uomo, dopo una ventina di minuti di parolacce e di improperi, che hanno accompagnato senza interruzioni il percorso per arrivare alla sommità della collina.
“Superata quella curva, c’è la stradina sterrata che porta alle spalle dell’ovile… Fammi scendere qui…” gli dice Maria. “Taglierò per i campi: in meno di cinque minuti sarò al capanno.”
“Ma sei pazza?” prova a dissuaderla il marito. “Con questa pioggia, corri il rischio di cadere… Non si vede a un palmo dal naso… Il terreno ormai sarà tutto un impasto di pietre e fango, è facile che possa franare…”
“Devo provarci…” insiste la donna. “Senti il rumore dell’acqua? Sta diventando assordante… Lo sai anche tu, pochi minuti possono essere determinanti… C’è ancora un bel tratto da fare… Se arrivo prima, è probabile che riesca a mettere in
salvo le pecore. Tu mi raggiungerai appena possibile con l’auto.”
“Sebastiano ha ragione… Abbiamo la testa dura, noi… E tu ce l’hai proprio di granito…” s’arrende Domenico. “Ok, vai, ma sta’ attenta: se ti trovi in difficoltà, fermati!”
Maria apre lo sportello e scende dall’auto, decisa.
Prima di allontanarsi, dice al marito:”A proposito di quello che ha detto Sebastiano, forse su una cosa aveva ragione: è meglio evitare la vecchia strada che porta alla diga… Prendi il nuovo viadotto, è più sicuro, l’hanno rifatto e rinforzato da poco…”
La donna si dirige a passo svelto in direzione del capanno. Come aveva previsto Domenico, il terreno tutt’intorno è un mare di fango… Maria vi affonda, si fa forza, stringe i denti per la fatica ma, dopo una decina di minuti, eccola presso la porta dell’ovile.
La spalanca, ed è accolta da un assordante belato. Le pecore, spaventate dalla furia della tempesta, stavano premendo insistentemente sulla porticciola di legno nel tentativo di scardinarla per uscire all’aperto.
Non può far nulla per impedirlo… In pochi attimi, le bestiole terrorizzate sono tutte fuori, corrono disordinatamente inerpicandosi lungo il crinale della collina.
‘Sarà un problema, ritrovarle, quando il temporale passerà’ pensa la donna. ‘Però, di sicuro, se fossero rimaste nel capanno, si sarebbero ammazzate, a forza di scontrarsi tra di loro.
Si stende su di una panca, nel capanno ormai vuoto. Toglie di dosso la mantellina impermeabile che l’aveva riparata alla meno peggio dalla pioggia e si dispone ad aspettare Domenico.
E’ passata più di un’ora: come mai Domenico non arriva?

“Sì, quel fuoristrada che i soccorritori hanno ritrovato sul fondo del burrone era del mio amico Domenico.” sta dicendo Sebastiano all’intervistatore della Rai, che ha bussato alla porta di casa sua per rivolgergli delle domande.
“Stanotte, lui e sua moglie Maria, mentre infuriava la tempesta, sono andati verso la parte alta della collina, dove avevano il loro ovile… Io li avevo avvertiti del pericolo, ma non m’hanno ascoltato…” continua l’uomo, affranto per il dolore.
“Purtroppo, il bilancio delle vittime del nubifragio, sale ancora… Con la morte di Domenico Maltesi e di sua moglie Maria, inghiottiti dalla voragine che s’è aperta nel nuovo viadotto, siamo a diciassette… Sulle cause del crollo del viadotto, la magistratura ha aperto un’inchiesta… Sono già stati identificati alcuni dei possibili responsabili della tragedia che riceveranno, a breve, gli avvisi di comparizione.” conclude l’inviato del TG.
E i titoli, a caratteri cubitali, con quest’ultima notizia, riportata anche dai giornali in prima pagina, scorrevano velocemente sulla parte bassa del video.
Ma c’era un errore nei numeri…
I morti veri sono sedici! I mass media hanno dovuto rivedere i loro freddi conteggi. Maria non si trovava accanto al marito, su quel fuoristrada, quando è precipitato dal viadotto.
Però, – un’infinità di volte l’ha pensato! – avrebbe preferito esserci, su quell’auto. La vita, senza il suo Domenico, non ha più significato.
E poi, c’è il rimorso, che l’accompagnerà fino a quando non andrà a raggiungerlo in cielo… Sì, è vero, non avrebbe mai potuto prevedere il crollo del nuovo viadotto, ma era stata lei a consigliare il marito di prendere quella strada…
Sì, è vero, non avrebbe potuto assolutamente prevedere che quel maledetto viadotto, da poco ristrutturato, sarebbe crollato, ma era stata proprio lei a consigliare a Domenico di prenderlo, ed è lì che il suo “Mimì” ha lasciato per sempre questo Mondo!

Ernesto Pucciarelli