Ci sono personaggi televisivi che “bucano lo schermo”, così come esistono scrittori e giornalisti che hanno un talento narrativo, una capacità di analisi dei fatti e un’abilità di scavare nella psicologia  dei protagonisti della cronaca al punto da catturare l’attenzione e il consenso di un’enorme fascia di pubblico.

Andrea Purgatori era senza dubbio così : uno scrittore, un giornalista e un conduttore di programmi televisivi  d’inchiesta che, col suo lavoro, aveva conquistato un seguito davvero cospicuo.

La sua preparazione, la professionalità e l’accuratezza dei suoi reportage sono già nella storia del giornalismo, anche se la notizia della sua improvvisa e prematura scomparsa circola solo da poche ore.



Alle qualità professionali si aggiunge un carisma personale che, come detto, “bucava”, avvincendo e tenendo incollati sulle poltrone quanti seguivano i suoi lavori in tv.

Probabilmente molti lo hanno conosciuto ed apprezzato per il suo programma d’inchiesta Atlantide, che inizia a condurre nel 2017 e in cui affronta temi delicati, “scottanti”, facendone un’approfondita e lucida disamina,  intervistando testimoni chiave e analizzando a 360 gradi ogni possibile pista investigativa.

Dalla strage di Ustica, al disastro della Moby Prince, dai processi di mafia fino all’intricato e mai risolto giallo del rapimento di Emanuela Orlandi, Purgatori ha davvero monopolizzato l’attenzione del pubblico con un suo stile giornalistico asciutto ma al tempo stesso estremamente coinvolgente e affabulatore.

Forte di una grande esperienza come autore televisivo e cinematografico ( tra i tantissimi un titolo : “Fortapàsc”, sull’omicidio di Giancarlo Siani) e, ancor prima di quella come inviato sui fronti di guerra,  Andrea Purgatori è negli ultimi anni approdato al grande e meritato successo televisivo.

Bello ricordarlo con le parole di Pietro Orlandi: “Io oggi non piango un giornalista piango un amico, è tanti anni che lo conoscevo. Era una persona di famiglia. Ci è sempre stato vicino, è stato sempre impegnato per tenere alta l’attenzione sul caso di mia sorella. Ogni volta che mi sentivo triste o perdevo la speranza riusciva a tirarmi su di morale, mi diceva ‘daje, ce la facciamo’. Riusciva sempre a darmi fiducia nelle cose, mi dava sempre coraggio. L’ultima volta che l’ho visto è stato quando è stato convocato in audizione al Senato ed è riuscito con semplici parole e far capire ai senatori perché la commissione era importante. Parlavamo di tutto al di là della questione di Emanuela, scherzavamo anche della Roma. Al di la di tutte le sue inchieste, che resteranno nella storia del giornalismo, di lui si può solo parlare bene. Come giornalista non credo ce ne siano tanti altri come lui, il suo impegno e la sua dedizione erano merce rara”.

Marika Galloro