Ricciardi-Giovanni-(al_cento)-ricercatore

Lo scorso venerdì 29 aprile, presso la sede dell’Associazione Culturale Ambientale “Arcobaleno” di Torre del Greco (presidente Gerardo Sorrentino) si è tenuto un incontro-dibattito col dott.  Giovanni Ricciardi (al centro della foto),  Ricercatore dell’ INGV presso l’Osservatorio Vesuviano.
Naturalmente la conferenza, moderata dall’ing. Flavio Russo,  ha avuto come oggetto il Vesuvio e la sua attività,  ripercorrendo la storia eruttiva del famigerato vulcano.
I non addetti ai lavori, ad es., ignorano che diversi millenni  prima dell’eruzione del 79 d.C., la più celebre in quanto seppellì Pompei ed Ercolano,  ben documentata da Plinio il Giovane, il Vesuvio ha avuto altri episodi eruttivi di altrettanta violenza, non descritti da testimonianze dirette, bensì ricostruiti dall’analisi geologica dei ricercatori. Nella storia eruttiva recente del Vesuvio il riferimento più significativo rimane quello dell’eruzione “pliniana”, in quanto il più distruttivo e devastante. Tuttavia, il dott. Ricciardi ha sottolineato che, in base all’elaborazione dei dati raccolti e all’analisi delle eruzioni fino all’ultima del 1944, il peggior scenario possibile che si ipotizzerebbe per un’eventuale ripresa è quello di un’eruzione tecnicamente definita “subpliniana”, cioè paragonabile a quella avvenuta nel 1631. Si trattò di un’eruzione comunque esplosiva e distruttiva  ( ci furono ben 10.000 morti) , ma meno devastante di quella pliniana, poiché il raggio di azione era di circa 25 km. Ed è proprio su questa tipologia di eruzione che è stata fatta anche la zonazione del rischio in area vesuviana, definendo “zona rossa” proprio quella che rientra nel suddetto raggio d’azione subpliniana. Ricciardi ha chiarito molto bene un punto fondamentale della questione : oggi, a differenza del 1631, la scienza dispone di mezzi e strumenti tali da poter avere una vasta gamma di elementi precursori di eruzione. In pratica il lavoro che la squadra dell’Osservatorio Vesuviano svolge ogni giorno h24 consiste proprio nell’osservare ed analizzare ogni impercettibile cambiamento del nostro vulcano, inserendolo in un contesto “diagnostico” in grado di prevedere un’eruzione con diversi giorni o addirittura mesi d’anticipo. Non solo: Ricciardi ha ulteriormente tranquillizzato l’auditorio affermando che attualmente il Vesuvio non presenta nessun segnale di imminenza eruttiva, per cui continua  una fase di quiescenza iniziata nel 1944. A tal proposito non è mancata una vena polemica nei confronti di chi preannuncia e divulga catastrofi imminenti , procurando panico ed allarmi assolutamente ingiustificati.  Certamente il Vesuvio riprenderà un giorno la sua attività eruttiva, ma allo stato non c’è nessuna evidenza scientifica che mostri imminenza di tale ripresa, anzi, Ricciardi ha parlato di “sottosaturazione in silice” del magma che alimenta il Vesuvio, il che si potrebbe tradurre con la semplice affermazione che sta perdendo il suo potenziale esplosivo.

Il punto delicato, piuttosto, è un altro : quando deve scattare l’allarme? Quando è opportuno che la Protezione Civile dia il via all’evacuazione? Stiamo parlando di un allarme che riguarderebbe quanto meno ( se non di più)  600.000 persone, tra cui noi torresi. Ebbene esistono quattro livelli di allerta, definiti dagli elementi precursori di cui su si è parlato ( deformazioni del suolo, eventi sismici, variazioni di temperatura e composizione chimica delle fumarole, etc). Quando i dati raccolti fanno inquadrare la fenomenologia preeruttiva al quarto livello, scatterebbe l’evacuazione della zona rossa. C’è un margine di errore ovviamente: più si va a ridosso dell’evento eruttivo, più questo margine diminuisce. Il problema a questo punto, secondo Ricciardi, è organizzativo- logistico e politico, più che scientifico.

A quanto pare,  per fortuna avremmo ancora tutto il tempo necessario per studiare piani di allerta e di evacuazione  idonei a gestire un’eventuale eruzione futura. Ma certo non è che possiamo “addormentarci” e fingere che il Vesuvio sia spento, senza definire, migliorare e divulgare un corretto Piano di Allerta, tra l’altro necessario e sancito da precise leggi ( non solo in merito al rischio vulcanico ma al rischio ambientale in senso lato). La scienza sta facendo tutto il possibile, ma le amministrazioni rispettano e adempiono a ciò che viene sancito dalle normative  e dalle leggi? Il vero rischio è forse quello che deriva dalla “leggerezza” umana, più che dagli eventi naturali.
Marika Galloro