Livorno – Torre del Greco – Nella serata dello scorso mercoledì 14 novembre, su di una nota rete televisiva, è andato in onda un servizio inerente la strage avvenuta in prossimità del porto di Livorno, 27 anni fa, sul traghetto Moby Prince, di proprietà della Nav.Ar.Ma., in cui persero la vita 140 persone (tra cui bambini), a causa di un gigantesco incendio

Sarà stato un caso ma lo straordinario reportage, condotto dal giornalista Andrea Purgatori, è stato trasmesso proprio nella stessa sera in cui la nostra città ha ricordato i quattro giovani torresi vittime del crollo del ponte Morandi a Genova, avvenuto esattamente tre mesi fa.

Dalla tragedia della Moby Prince, invece, sono trascorsi ben 27 anni; tuttavia i familiari delle vittime innocenti chiedono, ancora oggi, la ricerca della verità, le precise responsabilità. Anche in quel disastro Torre del Greco pagò il suo scotto: ben 7 vittime (in tutto 18 campani), 7 marittimi iscritti al compartimento torrese.



Anche per quella strage, come per quella di Genova, il fortissimo sospetto che molte vite si sarebbero potute risparmiare si fa strada con forza e chiarezza.

Per l’incendio sulla Moby Prince, come Purgatori ha magistralmente evidenziato nella sua inchiesta, recentemente è emerso un dato importantissimo, e cioè che il 22 gennaio scorso la Commissione Parlamentare d’inchiesta ha smantellato alcuni di quelli che sembravano “dati certi”.

Forse molti ricorderanno che il traghetto impattò contro l’Agip Abruzzo, una petroliera, causando un terrificante incendio, insieme con un black out a bordo. Furono fatte diverse ipotesi, tra cui la nebbia, l’errore umano (addirittura si parlò di una distrazione dell’equipaggio, che sarebbe stato intento a seguire una partita in tv, durante la manovra di allontanamento dal porto di Livorno).

Tuttavia la Commissione, grazie alle minuziose indagini svolte, alla Class Action nata per volontà dei familiari delle vittime (in particolare l’Associazione “10 aprile” e l’Associazione “140”),  alla testimonianza fondamentale dell’unico sopravvissuto, il mozzo Alessio Bertrand, di Ercolano, all’epoca 23enne, ha confutato elementi ingiustamente ritenuti fondanti in questa vicenda: 1) la sera del disastro non era presente nebbia; 2) non vi fu errore umano del Comandante Ugo Chessa, che invece aveva una comprovata perizia ed esperienza professionale; 3) non è vero che le persone a bordo sono morte massimo entro 30 minuti ma, anzi, alcune sarebbero potute salvarsi, vista la vicinanza della nave alla costa e al porto.

Bertand, tuttora in cura con psicofarmaci, come ha sempre affermato e ribadito, rimase per quasi un’ora aggrappato ad una ringhiera del traghetto, attendendo i soccorsi e, quando questi finalmente arrivarono, gli fu chiesto il nome della nave (invece i soccorsi all’Agip Abbruzzo, che, da quanto emerso nell’inchiesta, non doveva trovarsi nel punto in cui era quella sera, arrivarono tempestivamente, consentendo all’equipaggio di salvarsi).

Senza voler entrare nel merito di una vicenda con molti punti ancora oscuri e dagli scenari che vanno ben oltre il territorio italiano, coinvolgendo addirittura una presunta importazione illegale d’armi, nella dinamica della strage mancano ancora molti tasselli, un po’ come nella tragedia di Ustica.

A parte una misteriosa manomissione del timone di bordo, avvenuta all’indomani del disastro, esistono collegamenti inquietanti con l’assassinio della giornalista del tg3 Ilaria Alpi e del suo collega Hrovatin, giustiziati con un colpo alla testa in prossimità dell’ambasciata italiana a Mogadiscio, nel 1994, mentre stavano realizzando un’inchiesta su importazioni illegali di armi e di rifiuti tossici . Guarda caso, in questo traffico illecito sarebbe stato pesantemente coinvolto un peschereccio battente bandiera somala, il “21 Ottobre”, che, proprio il giorno dell’incendio della Moby, era nel porto di Livorno per riparazioni, ma che, dopo l’incidente, improvvisamente fece rifornimento e prese il largo.

Altri elementi non chiari sono quelli inerenti la presenza di alcune navi americane, alla fonda a Livorno in quel periodo, che apparentemente risultavano navi commerciali , ma in realtà erano navi militari che importavano armi.

Marika Galloro