Una delle difficoltà maggiori degli adulti nei confronti dei bambini è proprio quella di essere sinceri. La scelta di non mettere a conoscenza il bambino della perdita di un suo caro ha solitamente due motivazioni principali: quella di ritenere che il bambino, essendo piccolo, non sia in grado di comprendere la situazione; quella di ritenere che il bambino possa rimanere traumatizzato. Ci si convince così di proteggere il bimbo dalla sofferenza. Il punto è che non parlare del dolore, non significa essere riusciti a farlo sparire. Il bambino, pertanto, percepirà nei genitori o nel suo contesto d’accudimento un’emotività negativa che non riuscirà a comprendere e a spiegarsi.

Se nessuno gli racconterà come stanno realmente le cose e cosa sta succedendo e succederà potrà crearsi delle proprie spiegazioni che potrebbero essere disfunzionali, e che, nel tempo, potrebbero minare la sua autostima, il suo senso di sicurezza, di competenza, determinando in molti casi difficoltà emotive in età adulta. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che gli adulti sono le uniche fonti autorevoli in grado di spiegare ai bambini cosa accade nel mondo esterno ed interno e a cui loro si affidano incondizionatamente, tradire la loro fiducia, quindi, potrebbe rivelarsi dissestante.

Per quanto ci si possa sforzare, i bambini proveranno, come ogni essere umano, la rabbia, il dolore, la mancanza e pertanto è importante che imparino a riconoscere queste emozioni e a gestirle fin da piccolissimi, piuttosto che negarle o reprimerle. In fine, è importantissimo che venga suggerito al bambino un luogo preciso in cui collocare idealmente la persona scomparsa, che sia in cielo con gli angeli (purché ci si creda fermamente poiché credenti) o, più laicamente, nel proprio cuore. Questo garantirà al piccolo una continuità del legame con la persona scomparsa, continuerà a sentire la sua presenza senza sentirsi abbandonato ed, eventualmente, a parlargli, anche se non potrà ricevere risposta. Cè l’eventualità che, nel tempo, il bimbo abbia la necessità di riformulare le stesse domande sull’evento o che, dato il suo progressivo sviluppo cognitivo, possa farne di nuove. È necessario rispondere con pazienza, onestà e coerenza, ma lasciando trapelare un senso di speranza. Ciò che il bambino coglie profondamente è il tono emotivo prima delle parole.
Neanche la morte è traumatica se accanto al bambino c’è un cargiver capace di sostenere l’angoscia, che legittimizzi la tristezza e la rabbia senza però restituire un senso di catastrofe insostenibile.



Claudia Mennella
psicologa – psicoterapeuta
Per approfondire: www.claudiamennella.it

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 27 settembre 2017