Quante volte, dinanzi a comportamenti che violano le regole e ledono i nostri interessi, siamo tentati dal farci giustizia in maniera autonoma, senza, cioè, ricorrere alle autorità preposte? Ebbene, in previsione della Giustizia-Toghe

possibilità che ciascuno possa pensare di farsi giustizia da sé il legislatore ha previsto due particolari ipotesi di reato: l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392 c.p.) e l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone (art. 393 c.p.). Elementi imprescindibili per entrambi i reati sono che un soggetto agisca “al fine di esercitare un preteso diritto” (a prescindere, dunque, dalla sussistenza, effettiva, di detto diritto) e che, invece di fare ricorso al giudice, si faccia arbitrariamente ragione da sé. Mentre, però, l’ipotesi di reato prevista dall’art. 392 richiede, per la sua configurazione, che il soggetto agente usi violenza sulle cose, la fattispecie di cui all’art. 393 si configura, invece, nel momento in cui venga utilizzata violenza o minaccia nei confronti delle persone. Appare evidente, allora, che il reato previsto dall’art. 393 c.p. sia più grave di quello previsto dal 392, il che, d’altra parte, si riflette nelle sanzioni stabilite dal legislatore per l’una e per l’altra delle fattispecie citate: laddove venga esercitata solo violenza sulle cose la pena per il reato di “ragion fattasi” è la multa fino a 516 euro; in caso di violenza o minaccia a persone, invece, la pena è la reclusione fino a un anno. Nessuna differenza, poi, tra le due fattispecie menzionate per quanto riguarda la procedibilità: in entrambi i casi, infatti, non si procede d’ufficio, bensì solo ed esclusivamente a seguito di querela presentata dalla persona offesa dal reato.
Alessandro e Giovanni Gentile

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 08 luglio 2015