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Palazzo Vallelonga ha aperto le sue porte sabato 1° ottobre in occasione della 25° edizione di “Invito a Palazzo”: una manifestazione che rende fruibili a tutti le sedi storiche delle banche, e quindi le bellissime e preziose opere d’arte custodite in questi “scrigni”. In Campania, insieme con Palazzo Zevallos e Palazzo Ricca, anche palazzo Vallelonga storica sede della Banca di Credito Popolare ha spalancato i suoi battenti. Cittadini, clienti, appassionati e turisti hanno avuto la fortuna di visitare gratuitamente i saloni settecenteschi della Banca di Torre del Greco trasformatisi da luogo della professione bancaria a spazio museale. “Invito a Palazzo” è un’iniziativa di elevato spessore artistico e culturale, che vede la partecipazione di Banca d’Italia, promossa dall’Abi (Associazione Bancaria Italiana), sotto l’alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il Patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Per l’occasione il pubblico è stato accompagnato alla scoperta dell’antica scala neoclassica attribuita al Vanvitelli, del cortile, dei locali del cellario, dell’auditorium e delle zone di rappresentanza, come la sala del CDA caratterizzata dalla presenza di una parete affrescata da Crescenzo Gamba. Interessante la collezione di dipinti con chiari riferimenti al territorio ed i suoi artisti tra cui Nicolas de Corsi, Nicola Ascione e Valentino White. Costruito nel ‘700, Palazzo Vallelonga oggi ospita gli uffici della Direzione Generale della Banca di Credito Popolare assicurandone, attraverso l’utilizzo funzionale, la sua conservazione nel tempo.
La storia del Palazzo Vallelonga ha inizio nell’ultimo quarto del secolo XVII quando la famiglia Castiglione Morelli di Vallelonga entra in possesso di un vasto feudo nell’agro di Torre del Greco.
La grande masseria era costituita da alcuni piccoli corpi di fabbrica, destinati sia ad abitazione che alle lavorazioni agricole ed al ricovero degli animali. La bellezza del luogo favorisce l’afflusso delle più nobili famiglie napoletane che giungono a trascorrere periodi di riposo.
Al principio del XVIII, il marchese di Vallelonga decide di trasformare le rustiche fabbriche in comoda dimora, la “villa”, per i mesi estivi della famiglia e per la gestione del vasto territorio agricolo di sua proprietà.
L’edificio settecentesco incorpora il fabbricato più antico costituito da corpi bassi e separati. Sulla strada pubblica s’affaccia il blocco principale, formato dal pian terreno e dal piano nobile in cui sono sistemati gli ambienti di rappresentanza, affrescati, e gli altri locali dell’abitazione padronale con i terrazzi che guardano la campagna, il Vesuvio, il mare.
Il terremoto del 1794 danneggia seriamente il fabbricato che viene abbandonato per lunghi anni. Nel 1843 “il vistoso casino del Marchese di Vallelonga, il quale sussisteva, si può dire, nelle sole ruine” è affidato dalla famiglia Vallelonga a Camillo Napoleone Sasso perché lo ristrutturi, facendone un “palazzo” lungo la strada divenuta il “Miglio d’oro” famosa per la bellezza e per il lusso dei suoi insediamenti. Il Sasso rettifica ed amplia il corpo di fabbrica principale, lo sopraeleva di un piano e realizza l’ampio scalone neoclassico ed il grandioso vestibolo.
Dal 1860, ed ancor più dopo il terremoto del 1861, Palazzo Vallelonga segue il destino di abbandono e di degrado dell’intera zona vesuviana e delle sue “ville”.
Scompaiono gli stessi caratteri ambientali del territorio che le ospitava in un insieme unitario di eccezionale valore paesistico e culturale. Il rischio è quello della scomparsa di un prezioso mondo senza che di esso resti neppure il ricordo. La Banca di Credito Popolare acquista nel 1982 ciò che resta del Palazzo Vallelonga e ne realizza il restauro e la ricostruzione con l’esperta collaborazione del prof. Roberto di Stefano. Il progetto di restauro ha seguito e non preceduto il programma di conservazione: si sono individuati in Palazzo Vallelonga gli elementi documentali in grado di attivare la memoria collettiva e la tradizione. Il restauro ha rispettato gli impalcati preesistenti, lo schema planimetrico delle strutture murarie portanti, consolidando quelle presenti e ricostruendo quelle crollate, nel rispetto dei volumi (interni ed esterni) che caratterizzano l’edificio.
Cristoforo Russo