La città si sta lentamente ridestando dal torpore della notte e va gradatamente riprendendo i suoi ritmi nevrotici di sempre: traffico impazzito, i clacson che suonano a distesa, le sirene delle ambulanze che gemono e fanno venire i brividi, ti intristiscono con il loro lugubre, assillante lamento…

E’ lunedì mattina. Sono davanti la porta del mio studio legale, un cacciavite che giro e rigiro tra le mani, e triste lo sono già per fatti miei… Sarà almeno la quinta volta che smonto una delle viti che reggono la targhetta d’ottone che campeggia sulla porta, e poi la riavvito.

“Studio legale Cafiero-Del Grosso”, è scritto sulla targa, ma l’avvocato Del Grosso, Oreste Del Grosso, il mio socio, ma anche il mio migliore amico, non c’è più. Mi decido: la targhetta rimarrà con quella dicitura, un modo per ricordare Oreste per sempre.



“Avvoca’, allora non m’ero sbagliato, siete proprio voi!” è la voce di Vincenzo, il portinaio, che interrompe il flusso dei miei pensieri.
“State per riaprire lo studio? Sapete, i clienti che passano me lo chiedono, ho avuto pure qualche telefonata…” aggiunge trafelato.

Si è fatto tre piani di scale a piedi, e le scale dei palazzi antichi non sono certamente agevoli. Ha l’affanno, Vincenzo, e in cuor suo starà sicuramente mandando le più “care benedizioni” all’amministratore del condominio che non si decide a far cambiare quel dannato, vecchio ascensore, che funziona a giorni alterni, quando funziona…

“No, Vincenzo. Credo che ne avremo ancora per una settimana…. Non sarà facile riprendere, dopo la disgrazia…” gli rispondo, mentre richiudo la porta.

“E tenete ragione, avvoca’, tenete mille ragioni…” conferma Vincenzo con un eloquente cenno del capo. “Quella che è successa non è stata una disgrazia, diciamo ‘normale’, tipo quando uno muore di morte naturale, oppure per un brutto incidente… Io ancora non mi faccio capace… L’avvocato Oreste, una persona squisita, un vero gentiluomo, sempre allegro, cordiale… Ma voi pensate che l’acchiapperanno quel delinquente che gli ha sparato?”

“Non lo so, Vincenzo, non lo so… A volte i delinquenti riescono a farla franca persino ai processi, se trovano gli agganci giusti…”

“E se non le sapete voi queste cose, che siete avvocato! Io, però, spero che lo prendono… Ce facesse fa’ ‘na morte comme dico io… Ma in Italia la pena capitale – ho detto bene, avvoca’? – non ci sta… E allora perlomeno deve schiattare dentro il carcere, chill’omme ‘e…”

Vincenzo se ne va, e borbotta ancora improperi, mentre scende per le scale. Io ho cambiato idea, ho deciso di fermarmi allo studio, tanto a casa che ci vado a fare? Apro una finestra e un tenue raggio di sole penetra nella stanza… Siedo alla scrivania di Oreste… La sua fotografia pare che mi sorrida… Mio Dio, Oreste non c’è più, mi sembra impossibile! Ci conoscemmo ai tempi del liceo, e da allora diventammo inseparabili. Tre anni fa mi propose di di metterci insieme, con lo studio, ed accettai con enorme piacere. Oreste era un uomo intelligente, aperto, onesto, professionalmente eccezionale. Cominciare a lavorare con lui mi dette una nuova carica, fui contagiato dal suo entusiasmo.
Devo confessare un segreto, che ho sempre tenuto solo per me. Non ho scelto io, di fare l’avvocato, mi feci convincere da mio padre… C’era il suo studio già ben avviato, una strada aperta, non mi sarebbe stato difficile inserirmi… Ed è stato così, ma il mio sogno nel cassetto era un altro: avrei voluto fare lo psicologo, anzi, lo psicanalista.
Entrare nei meandri dell’animo umano, comprendere il perché dei nostri comportamenti, aiutare le persone a superare i propri conflitti, le proprie frustrazioni, dev’essere qualcosa di veramente stupefacente. E sapete chi mi sarebbe piaciuto avere come primo paziente, se avessi realizzato il mio sogno? Proprio Oreste, il mio più caro amico! Credetemi, ho conosciuto tanti uomini con il “vizietto” delle donne, che sentono quasi come un dovere fare il Don Giovanni non appena capita a tiro una “gonnella”, ma Oreste era esagerato!
Lui non faceva distinzioni tra “belle” e “brutte”, tra “giovani” e “meno giovani”, Tra “patrizie” e “plebee”… Era una donna? Respirava? E allora cominciava la caccia!
Una volta l’invitai a casa mia. Erano ancora i tempi del liceo, dovevamo fare una ricerca di storia. Mia nonna ci portò, all’ora della merenda, dei biscotti, i suoi famosi biscotti farciti con la cioccolata. Al solo ricordarli, ancora adesso, mi viene l’acquolina in bocca! Avevano un odore, un gusto, particolari… Erano veramente squisiti, quei biscotti; ma forse era solo il sapore della gioventù a rendere tutto più buono…

Comunque Oreste – prendendo spunto dai biscotti – cominciò ad inondare la nonna con i suoi complimenti, tanto che la vecchietta, non più abituata a tanta galanteria, arrossì, farfugliò qualche parola incomprensibile, e batté in ritirata. Si rinchiuse nella sua camera e non ne uscì fino a quando non le dissi che il mio amico era andato via. Sono sicuro che il malandrino mirava solo ad ottenere altri biscotti; però, conoscendolo, a scanso di equivoci, non l’invitai più a casa mia, quando c’era la nonna…
Di recente, Oreste aveva aggiunto una variante al suo “vizietto”: adesso non gli interessavano più tutte le donne, ma solo quelle già sentimentalmente impegnate, sposate o almeno saldamente fidanzate. Potevate anche presentargli una, diciamo per capirci, tipo Monica Bellucci, ma se era libera non scattava il lui il meccanismo che lo portava ineluttabilmente a farle la corte.
Forse – pensai, quando il mio amico mi confessò questa sua stranezza – Oreste aveva mal interpretato il Comandamento che impone di non desiderare la donna d’altri, il “non” gli era sfuggito! L’ultimo oggetto dei suoi desideri proibiti, prima che succedesse l’irreparabile, era stata Veronica, l’inappuntabile segretaria del commercialista che aveva lo studio accanto al nostro.
Aveva tre figli, Veronica, e un marito che stravedeva per lei. Non era neppure bella, anzi, secondo me era un tantino scialba, senza particolari attrattive, abbastanza insignificante. Ma era “sposata”, e questo attizzò Oreste. Il “cacciatore” cominciò il suo assedio, anche se la preda dimostrava chiaramente di non volergli cedere. Appostamenti per le scale, improvvisi, dei veri e propri agguati, bigliettini “infuocati”, al limite del pornografico, conficcati nei fasci di rose rosse che le inviava quasi ogni giorno, telefonate a tutte le ore, anche di notte…
Insomma, Oreste diventò una vera e propria ossessione per la povera Veronica, che però resisteva… Una volta quell’impunito del mio amico riuscì persino a restare, per più di un’ora, solo con lei nell’ascensore, che si fermò, inspiegabilmente per i tecnici che vennero a tirarli fuori da quella scomoda situazione, tra un piano e l’altro… Veronica uscì dalla cabina distrutta per la paura, unita alla ‘fatica’ per tenere a freno l’esuberanza di Oreste.

Ho sempre sospettato che, in qualche modo, l’instancabile conquistatore, in quella occasione, sua stato aiutato da Vincenzo, il portinaio che – a fronte di una cospicua mancia – mette da parte ogni scrupolo, ma non mi è riuscito di dimostrarlo. Poi successe l’irreparabile, e Veronica fu cancellata dai pensieri di Oreste. “L’irreparabile” aveva gli occhi neri come l’inchiostro indelebile, due gambe da favola, tutti gli ‘attributi’ al posto giusto… Era veramente un incanto, bella da mozzare il respiro. Non nascondo che affascinava anche me: figuriamoci l’effetto che potette avere su Oreste!
Si chiamava Melissa, era nativa di Cuba e aveva sposato un boss, un camorrista che la polizia aveva arrestato alcuni mesi prima. Incombeva il processo e Melissa s’era rivolta a noi perché patrocinassimo il suo uomo. Non era la prima volta che il nostro studio legale assumeva le difese di un malvivente; perciò, niente di strano, di particolare…
Nessuno può – per dettato costituzionale, per “definizione giuridica” – essere considerato colpevole fino a quando non è dimostrata la sua reità. Accettammo l’incarico, anche se feci di tutto per evitarlo, adducendo mille pretesti. Avevo come un oscuro presentimento… E purtroppo non mi sbagliavo.
Oreste si offrì di seguire il “caso” in prima persona, ma io sapevo perché aveva preso tanto a cuore le sorti del camorrista. La splendida Melissa diventò una presenza quasi fissa sul nostro studio. Il solerte avvocato Del Grosso la convocava un giorno sì e l’altro pure, con la scusa di tenerla aggiornata sulla strategia di difesa che stava approntando.

“Sta’ attento, Oreste!” l’imploravo. “Quella è gente che non scherza… E se solo pensa ad uno sgarro…”

“Non preoccuparti, Riccardo, so quello che faccio.” mi rispondeva e sorrideva, malizioso, Oreste. “La ragazza in questo momento si sente sola… Ha bisogno di qualcuno che la conforti… Non ci sono problemi, lei è contenta che le stia vicino…”

Forse era proprio così. La statuaria cubana effettivamente gradiva la vicinanza di Oreste, ma quelli della famiglia, i parenti del boss, non dovevano pensarla come lei…
E mostrarono il loro dissenso con tutta la ferocia di cui sono capaci, senza pietà: un colpo di pistola a bruciapelo, dritto al cuore, mentre Oreste era in macchina. nel traffico della città, fu il loro modo per far capire all’avvocato Del Grosso che aveva esagerato, per “ricordargli” che le donne che appartengono agli altri non si toccano!
Ernesto Pucciarelli