‘Certo che ne ha avuto di coraggio!’ pensò, mentre tirava giù dalla reticella l’unica valigia che aveva portato con sé per il viaggio. ‘Tutta una vita… Sola tutta una vita… Non ha mai più visto Berto, né s’è legata sentimentalmente ad altri uomini, almeno così credo… Ma questo lo chiederò direttamente alla zia Pina, e so che mi dirà la verità… Non ha motivi per mentirmi, oltretutto alla sua età e nelle condizioni di salute in cui si trova… E poi, c’è un’altra domanda che muoio dalla voglia di porle: perché, dopo il fallimento del suo matrimonio non è tornata a Sorrento? Era ancora giovane, avrebbe sicuramente potuto rifarsi una vita…’
Rosa percorse poche centinaia di metri per arrivare allo stazionamento delle corriere. Dopo aver trovato quella che era in partenza per Cento, entrò nella vettura con largo anticipo rispetto all’orario previsto per la partenza. Si sedette al posto quasi vicino al conducente… In pochi minuti, la corriera si riempì di viaggiatori… Il conducente mise in moto il bus che iniziò a percorrere le strette stradine che conducevano a Cento…
Una pioggerella fredda e sottile, cominciò a scendere dal cielo, che s’era improvvisamente rabbuiato…
Rosa era giunta a casa della zia Pina nei primi giorni di febbraio, quelli che i contadini usano indicare come i giorni della Merla, di solito il periodo più freddo dell’anno.
Il tempo peggiorava sempre più… Il livello dei fiumi stava aumentando pericolosamente: a Cento, tutti erano in trepida attesa per la piena del Reno, uno dei fiumi maggiori della regione.
Anche la salute di zia Pina peggiorava, ma questo Rosa se l’aspettava… Il medico che l’aveva visitata l’ultima volta, era stato chiaro: i polmoni dell’anziana donna erano, ormai, giunti al capolinea!
Le cure mediche, non avevano più senso: bisognava solo aspettare, e sperare che l’ultima ora della buona Pina giungesse quanto più serenamente possibile…
La donna mostrava d’essere consapevole delle sue condizioni, e sembrava accettarle con grande coraggio e con cristiana rassegnazione.
“Lo so che sto per morire… “diceva a Rosa, che continuava a curarla amorevolmente. “Sei proprio una brava ragazza, Rosetta mia… Tutta tua madre, buona come il pane che si faceva una volta, nei vecchi forni di campagna, quelli a legna…”
“Ma che morire e morire! Zia Pina, voi camperete ancora cent’anni!” le rispondeva la nipote, scherzando, per consolarla. “Voi tornerete con me a Sorrento, e vi troverete un bel ‘fidanzato’! Ma, a proposito di Sorrento, me lo volete dire perché non ci siete più ritornata?” aggiunse una mattina, quando trovò il coraggio di porle quella domanda che le premeva, da sempre.
“Lo vuoi proprio sapere?” le chiese zia Pina, con un sorrisetto malizioso.
“Certo, zia Pina… Però, se vi dà fastidio, se vi scoccia…”
“E allora te lo dico, piccerella!” acconsentì zia Pina. “Ascoltami bene… Questa è come una specie di confessione, non devi dirlo a nessuno!” continuò, con aria da ‘cospiratrice’.
“E figuratevi, zia Pina, a chi devo andarlo a raccontare! Certo che non parlo con nessuno…” la rassicurò Rosa, passandosi un dito sulle labbra come se volesse ‘cucirle’.
“In un primo momento, decisi di restarmene qui, perché non volevo dare soddisfazione a certe persone…” cominciò la vecchietta. “Vuoi sapere a chi mi riferisco?” chiese subito dopo, senza attendere la risposta di Rosa.
“Principalmente a mia mamma e a mia sorella Agnese… Sì, proprio lei,tua madre! Loro mi avevano avvertito di non essere precipitosa, di aspettare, prima di andarmene con Berto… E poi, anche all’altra gente: sai come avrebbero goduto, le capere, per il mio fallimento!”
“E voi, per non far sparlare la gente…”
“Aspetta , Rosa… Te l’ho detto… all’inizio, è stato così, ma poi mi sono accorta che qui ci stavo proprio bene, e non solo per i buoni guadagni che mi venivano dalla campagna…”
“Proprio bene, Rosi’…” aggiunse, e un ‘lampo’ improvviso le attraversò lo sguardo. “A te lo posso dire: ogni tanto, qualche bello guaglione… Niente d’importante, né per me, né per loro, niente sentimento, ma come mi piaceva! E quando mi sarei potuta divertire, a Sorrento? Subito dopo la prima volta, non appena si veniva a sapere e, stanne certa, si veniva a sapere, perché lì parlano pure le pietre, succedeva il putiferio! Minimo minimo, per tutta Sorrento, diventavo ‘na grande zoccola! Finiva la pace, per me e per la mia famiglia… E chi le sentiva, tua nonna e tua mamma!”
La primavera era arrivata. Rosa era ancora a Cento. Un paio di volte a settimana scendeva in paese, per telefonare a Sorrento.
“Ma quando torni?” le chiedeva Vincenzo. “Lo sai che mi manchi… E zia Pina, come sta?”
“Quando torno, quando torno… E che ne so, quando torno!” rispondeva, nervosa, la ragazza. “Zia Pina sta come deve stare… Niente niente, per fare piacere a te, mi dovrei augurare che muore presto? Se proprio hai voglia di vedermi, mettiti nel treno e vieni a Cento…”
“E certo che ti vengo a trovare!” rispondeva Vincenzo. “No, stai tranquilla, pensa a stare vicino alla zia, che non appena posso ti raggiungo… Stanno finendo i gettoni? E allora attacco… Rosi’, te lo prometto: appena mi libero ti faccio una bella improvvisata!”
‘Appena mi libero, ti vengo a trovare’, le diceva sempre Vincenzo… Ma da chi, o da che cosa doveva liberarsi? Per Rosa, quello rimase un mistero… Fatto sta, che quella improvvisata, Vincenzo, non gliela fece mai…
Erano tre giorni e tre notti che pioveva senza tregua… Faceva così il tempo, di primavera, quando le stagioni erano ancora stagioni, prima che impazzissero…
A febbraio, la temuta piena del Reno non c’era stata, ma adesso, a marzo inoltrato, le probabilità della sua esondazione erano notevolmente aumentate, con tutta quell’acqua che stava cadendo dal cielo…
“Rosa, Rosa… Stai dormendo? Nun me chiamma’ scucciante… Lo so che già ci sei andata ieri sera, ma è meglio che scendi un’altra volta…” disse zia Pina, verso le tre del mattino, quando s’accorse che la pioggia e le raffiche di vento stavano aumentando d’intensità.
“Veramente, stavo dormendo, fino a poco fa… “ rispose Rosa, ancora
mezza assonnata. “Comunque, non vi preoccupate, zia Pina: scendo subito a controllare che la porta della cantina e quella della stalla stanno ben chiuse… Sì, sì, lo so, me lo ricordo, state tranquilla: guardo pure se i tombini di scarico dell’acqua si sono intasati, se i sacchi che abbiamo sistemato davanti alla porta si sono spostati per il vento, va bene?”
“Eh, non c’è proprio niente da fare: sei proprio ‘na piccerella con i fiocchi… Anzi, con gli strafiocchi!” sorrise zia Pina. “Chi si sposa a te, fa l’affare più grosso della vita sua!”
Rosa, sbadigliando e imprecando a bassa voce, si avviò verso le scale che conducevano alla cantina e alla stalla. Al buio, non riuscì a trovare l’interruttore della luce. Lentamente, un passo dopo l’altro, con in mano una torcia che a stento le illuminava una ventina di centimetri davanti, scese la ripida scalinata… Tirò un profondo sospiro di sollievo quando, finalmente, s’accorse d’aver superato l’ultimo gradino…
Tutto sembrava essere a posto… Anche le mucche, nonostante il frastuono provocato dagli scrosci di pioggia, non erano particolarmente agitate. Si accinse a risalire in casa, quando un rumore improvviso la fece trasalire.
“C’è qualcuno?” chiese con il cuore che le sobbalzava nel petto. Non ricevette nessuna risposta.
‘Meno male…’ pensò la ragazza. ‘Ci mancava soltanto che fosse entrato un ladro, qualche malintenzionato…’
Un istante dopo, però, avvertì un altro lieve scricchiolio.
“Si può sapere chi c’è?” disse ancora, e la voce le uscì a fatica.
Per risposta, il silenzio più assoluto, come prima.
‘Sarà sicuramente qualche gatto randagio, oppure un topo che sta rovistando nella dispensa…’ concluse Rosa, mentre s’apprestava a salire lungo la buia scalinata. Non fece in tempo ad iniziare la ‘scalata’, che si sentì afferrare per i fianchi… Una grossa mano, nodosa e tremolante , le tappava la bocca, impedendole di gridare.
“Tu, non paura…” disse la ‘voce’, chiaramente maschile, che avvertiva alle sue spalle. “Io, paura… Tu aiutare me? Guardami…”
In quel momento, l’uomo le liberò la bocca, la girò verso di sé, e la torcia che Rosa aveva tra le mani gli illuminò il viso.
La ragazza rimase come paralizzata. Aveva guardato il suo ‘aggressore’, e immediatamente si tranquillizzò: uno con quel viso d’angelo, con quegli occhi incredibili, azzurri più del cielo quand’è sereno, non poteva in nessun modo costituire un pericolo, per lei, non poteva farle del male!
L’ invitò, con calma, a sedersi sulle scale e prese posto accanto a lui.
Il giovane le chiese dell’acqua e qualcosa da mettere sotto i denti. Provava a farsi capire a gesti e con qualche parola, stentata, in italiano…
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Rosa, a sua volta, s’arrangiava nella conversazione con quel poco di tedesco e d’inglese che aveva imparato alla pensione ‘Azzurra’, quando, in estate, arrivavano gli stranieri…
La ragazza gli portò dell’acqua fresca che tirò fuori dal pozzo che stava in cantina, un pezzo di pane raffermo e del formaggio.
Karl, così le disse di chiamarsi il giovane, bevve avidamente e in pochi attimi fece ‘sparire’ anche il pane e il formaggio…
Aveva addosso una divisa militare, sudicia e strappata in più parti. Karl riuscì a farle capire che era un ufficiale tedesco, e che stava scappando nel tentativo di raggiungere il confine.
“Se trovano miei camerati tedeschi, io kaputt! Ma kaputt pure se me prendere particciani!” disse, e cominciò a singhiozzare.
Rosa si sentì stringere il cuore. Istintivamente, gli prese una mano, come per proteggerlo… Che Karl potesse correre dei rischi se l’avessero catturato i partigiani, questo lo capiva… Ma perché il giovane ufficiale era braccato anche dai suoi stessi compagni?
Riuscì, dopo molti tentativi falliti, a porgli la domanda e, altrettanto faticosamente, Karl le rispose.
Tutto era iniziato due sere prima, sulle colline che contornavano Cento. La pattuglia della quale faceva parte Karl era caduta in un’imboscata dei partigiani. Due suoi commilitoni erano morti. Poche ore dopo, lui ed i suoi compagni d’armi erano entrati in un piccolo borgo che s’apriva lungo la strada che stavano percorrendo.
Il capitano ordinò immediatamente che venissero catturati tutti gli uomini che si trovavano in paese: bisognava vendicare i compagni morti durante l’attacco dei partigiani… Dieci italiani dovevano morire per ogni tedesco che era stato ucciso…
In pochi minuti, una folla di contadini era stata ammassata accanto ad un muretto… Karl aveva ricevuto l’ordine di comandare il plotone d’esecuzione. Non l’aveva mai fatto prima, ma gli ordini sono ordini, non si discutono…
Certo, non era la prima volta che puntava l’arma contro un nemico, aveva sparato, aveva anche ucciso…. Ma era diverso, molto diverso… Durante una battaglia, devi farlo per forza… O spari tu per primo, o lo fanno gli altri, non vi sono alternative…
Il giovane aveva guardato quelle che sarebbero state le vittime della scarica di fucileria che tra qualche attimo avrebbe tolto loro la vita.
In gran parte, erano dei poveri vecchi, malnutriti, malaticci, terrorizzati, che a stento si reggevano in piedi. Gli altri, invece, dei ragazzetti la cui età non superava i dodici – tredici anni… Nessuno di loro poteva in alcun modo essere pericoloso… Che avevano da spartire, quegli innocenti, con gli uomini che avevano teso l’imboscata alla sua pattuglia? Karl sapeva che il suo capitano stava aspettando solo che lui impartisse l’ordine… E allora, sollevò la sua sciabola… “Puntate”, “Mirate”… disse con la voce che gli tremava, ma gli ordini sono ordini…
Alla parola ‘fuoco’, tutto sarebbe finito…
Karl vide spuntare negli occhi di un anziano contadino, che aveva rifiutato d’essere bendato, una lacrima…
Forse quell’uomo era il più vecchio di tutti… Certamente sapeva che, in ogni caso, non gli restava ancora molto da vivere, però stava piangendo…
Ancora pochi attimi… Poi la sciabola di Karl si sarebbe abbassata… Il giovane tenente avrebbe pronunciato la parola ‘fuoco’, e per quel vecchio e per tutti quanti gli altri sarebbe stata la fine.
Ma dalla bocca di Karl quella parola non venne fuori… Inaspettatamente, il giovane ufficiale lanciò lontano la sua sciabola e fuggì, correndo a perdifiato. Dopo un primo attimo di sorpresa, il capitano aveva ordinato agli uomini del plotone d’esecuzione di sparargli contro ma, per fortuna, i proiettili lo sfiorarono soltanto…
Aveva continuato a correre, senza mai fermarsi, senza mai voltarsi indietro, il tenente che, per non macchiarsi di quello che a lui era sembrato un assurdo sterminio, aveva perso il suo onore di soldato, era diventato un disertore… Poi era giunto nei pressi della casa di Rosa. Una finestra al pianoterra era aperta, e da lì il giovane era penetrato nell’interno della cantina…
A questo punto, Karl interruppe il suo racconto.
Rosa s’era commossa. Adesso aveva la certezza di non essersi sbagliata… Quel ragazzo non era cattivo, lei gliel’aveva letto negli occhi…
Era un tedesco? Un nemico? E che cosa le importava? No, in quella buia cantina, umida e fredda, c’era soltanto un ragazzo, che poteva avere più o meno la sua età, che era in pericolo di vita e che implorava il suo aiuto.
“E adesso, che cosa farai?” gli chiese Rosa, porgendogli un bicchiere pieno d’acqua e un altro pezzetto di pane.
“Io non sapere… Però, se vado confine, io forse salvo…” le rispose esitante.
“Sicuramente, con addosso la tua uniforme, non ci arriverai, al confine… Ma credo che a questo possiamo rimediare…” disse la ragazza, e gli fece cenno di attenderlo lì: lei sarebbe ritornata dopo pochi minuti.
In un baleno, superò la scalinata… Per prima cosa, sbirciò nella camera di zia Pina: nessun problema, la vecchietta dormiva, anche se, di tanto in tanto, il suo petto veniva squassato da violenti colpi di tosse…
Richiuse lentamente la porta e si diresse verso la camera accanto a quella della zia Pina. Sapeva che in quella stanza c’era un grosso armadio, nel quale zia Pina serbava vecchi cuscini lenzuola, coperte…
Ma non solo quelli. Zia Pina conservava tutto, anche le cose più impensabili e apparentemente inutili ma che, secondo lei, prima o poi sarebbero potute servire…
Il nastro di un pacchetto che conteneva un regalo? Un pezzetto di spago con il quale aveva legato un mazzo di chiavi, per tenerle unite e non perderle? Un vecchio abito che non indossava più da una vita, ma che
sarebbe – secondo lei – tornato sicuramente di moda? Persino delle lampadine elettriche fulminate che, chiaramente, non avevano più alcuna possibilità di tornare a far luce…
Ecco alcune delle ‘preziosità’ contenute in quell’enorme armadio, un vero e proprio pozzo senza fondo!…
Forse – pensò Rosa – la zia Pina vi aveva stipato anche qualche indumento di Berto, anche se erano passati molti anni da quando s’erano separati: quasi certamente, sarebbero andati bene per Karl.
E infatti, dopo aver rovistato solo per pochi istanti tra le ‘cianfrusaglie’ nell’armadio, ecco quello che cercava! Ben nascosti sotto lenzuola e coperte, la ragazza trovò delle tute da lavoro, delle camicie scolorite e stropicciate, dei maglioni di lana infeltriti, alcune giacche e… dei pigiami.
Le camicie, le giacche, i maglioni e tutto il resto erano certamente appartenuti a Berto, ma i pigiami no… Rosa lo escluse, nel modo più assoluto. Berto era di corporatura grossa, molto robusta, e quei pigiami invece, di una taglia molto più piccola!
E allora, come si spiegava la loro presenza nell’armadio? Poi, si ricordò di quello che le aveva confessato la vecchia zia…
Quand’era più giovane, la zia Pina, di notte, aveva spesso ‘ospitato’ qualche giovane, ‘focoso’, contadino: ecco chiarito il mistero dei pigiami!
Chissà quante ‘storielle piccanti’ avrebbero avuto da raccontare, quei pezzi di stoffa scoloriti e sdruciti! Rosa non poté fare a meno di sorridere…
Raccolse frettolosamente dall’armadio un paio di camicie, una tuta, una giacca, un vecchio maglione di lana, e ridiscese in cantina.
Questa volta riuscì a trovare l’interruttore della luce, ma non è che nella cantina adesso si vedesse molto di più, rispetto a quando era illuminata dal chiarore della sua torcia. La lampadina, infatti, funzionava ad intermittenza ed era fioca per la polvere che l’avvolgeva…
La ragazza si avvicinò a Karl che era rimasto seduto sul primo gradino della scalinata.
“Provati un po’ questi…” gli disse, mentre gli porgeva una camicia e dei pantaloni.
Karl si alzò e cominciò a togliersi il giubbino della divisa. Nel portare indietro il braccio sinistro, gli sfuggì un lamento.
“Ma sei ferito!” si preoccupò Rosa, e fece per soccorrerlo.
“No, io non ferito, io bene… Io caduto in erba e…”
“Sei caduto in un cespuglio, tanta erba?” gli chiese la ragazza
“Sì, tanta erba… e spine… Io pungiuto, ma poco sangue…”
Dopo pochi istanti, karl s’era liberato del giubbino. Rosa l’aiutò a mettere la camicia e…
Non riuscì a comprendere quello che le successe… Una sensazione strana, mai provata prima d’allora e che non riuscì, neppure in seguito, a spiegarsi…
Nel mettere la camicia a Karl, le sue dita sfiorarono appena il petto del giovane… La ragazza sentì un lungo brivido di piacere percorrerle la schiena. Karl le sorrise, le carezzò lievemente i capelli e la scostò da sé…
Rosa era come inebetita, confusa, ma di una cosa era sicura: se Karl avesse provato a stringerla, invece che allontanarla da lui, non avrebbe fatto nulla per impedirlo!
Con Vincenzo, era capitato diverse volte, s’erano baciati, accarezzati, stretti fino a farsi male, ma il ‘calore’ che le aveva procurato il semplice, fugace, contatto con Karl…
A Vincenzo voleva bene, non avrebbe mai immaginato di poterlo tradire… E invece aveva ‘sentito’ che con il giovane tedesco sarebbe accaduto…
‘Vuoi vedere che… Hanno sempre detto che somiglio in tutto e per tutto alla zia Pina: non è che pure io, come lei, sono ‘nu poco zoccola?’ pensò la ragazza.
Non potette fare a meno di sorridere. Si ricompose, riprese il controllo di sé, e continuò ad aiutare Karl ad indossare i vecchi abiti di Berto.
Karl se ne andò allo spuntare dell’alba. Rosa lo vide allontanarsi a cavallo della vecchia bicicletta che il giovane le aveva chiesto in prestito.
“Tu non preoccupi… Io torno, in Italia… Per trovare te e porto pure bici…” le aveva detto mentre, su di un pezzetto di carta, il giovane stava annotando il proprio indirizzo.
“Ecco… C’è anche numero telephon” aggiunse. “Tu me chiamare prossima settimana… Io spero allora stare a casa mia, in Cermania.”
Rosa era commossa. Ficcò rapidamente nella tasca dei pantaloni di Karl un foglietto di carta stropicciato sul quale aveva annotato il suo, di indirizzo.
“Mi raccomando, non perderlo… Fammi sapere subito tue notizie, se è andato tutto bene… “ gli disse.
“E sta’ attento….” aggiunse. “Non parlare mai, con nessuno… Capirebbero subito che sei un tedesco: devi fingere d’essere muto: ti ricordi il gesto?”
Karl, goffamente, provò a ripeterlo. Portò una mano alla gola, stringendola come se gli mancasse il respiro, e l’altra la diresse all’altezza delle labbra, muovendo le dita come volesse ‘cucirle’.
“Sì, va bene!” commentò, ironica, Rosa. “Però non esagerare: sembra che ti stai strozzando…”
“Strozzando? Che vuol dire strozzando?” le chiese il giovane.
“E come faccio a spiegartelo? E’ come quando stai per morire… Kaputt, è così che si dice in tedesco? Nein, nein… Non importa, basta che tu non parli, hai capito?” aveva tagliato corto la ragazza.
“Ia, ia… Io capito… Io niente parlare…” le confermò Karl con un sorriso.
Rosa seguì con lo sguardo l’agile figura di Karl, mentre s’allontanava pedalando a fatica e arrancando sulla vecchia, cigolante, bicicletta, fino a quando il giovane tedesco non scomparve all’orizzonte.
“Buona fortuna… “disse mentalmente. “Che il Signore ti sia vicino e protegga il tuo viaggio!”
Dopo un paio di settimane, anche zia Pina intraprese un viaggio… Ma quello, purtroppo, era un viaggio che sarebbe durato per sempre, dal quale non c’è alcuna possibilità di ritorno…
Rosa, ormai, non aveva più motivo di restare a Cento. Dopo la mesta cerimonia funebre – neppure da morta zia Pina aveva voluto rientrare a Sorrento! – se ne tornò a casa con Vincenzo che, in quell’ occasione, le era stato finalmente vicino.
di Ernesto Pucciarelli
Fine sesto capitolo
Sommario:
Capitolo I – Meta di Sorrento
Capitolo II – Lo scialle lucente
Capitolo III – Serena
Capitolo IV – Hans Stainer
Capitolo V – Zia Pina
Capitolo VI – Karl Stainer