Il mio incontro con Samuel Beckett è stato un atto di eccezionale seduzione. Ammaliato dalla sovranità della parola che domina ogni produzione beckettiana, come attore ho tentato di accedere e superare la pagina, il video e la scena, per entrare in quella condizione ipnotica esteriore di moving-static, al fine di conoscere ed assaporare in profondità un’esaltante agitazione dei sentimenti.

Una esperienza rivissuta recentemente sia per gli aspetti scenici, con gli attenti allievi del Centro Universitario Teatrale di Cassino diretti da Giorgio Mennoia, che per la pubblicazione di un mio intervento “Mi amado Beckett”, apparso nella prestigiosa rivista “Beckettiana” dell’Università di Buenos Aries (http://revistascientificas.filo.uba.ar/index.php/Beckettiana/index). Da sempre ho inseguito Beckett, sin dai miei studi universitari, quando stregato dai sui scritti ho iniziato a divorarli tutti. Poi con il “Gruppo Sperimentazione Teatrale ABC” ho messo in scena le sue pièces. In particolare, “L’ultimo nastro di Krapp”. Uno spettacolo che ho interpretato con empatia in numerose repliche, fino a diventare un fortunato saggio pubblicato dalla ESI, “Samuel Beckett, Krapp’s Last Tape: dalla pagina alla messinscena”. Un lavoro che resta un riferimento per gli studenti, attori e non solo che desiderano avvicinarsi al grande dubliner di Parigi, l’umile grande genio del Novecento.

Uno scrittore, che insieme a Luigi Pirandello, ha saputo descrivere nella sua interezza il XX secolo, rivelandosi tremendamente profetico nel preannunziare le angosce dell’Uomo contemporaneo. Dalla sua produzione che va dalla narrativa al teatro, dal cinema alla danza, dalla poesia ai media, emerge che Beckett è un autore puro che ha scavato nell’intimo più recondito dell’Uomo. Anzi, è un eccezionale profeta in ascolto sul Tempo proprio e futuro, scrivendo tantissimo di noi. Della sua visione del mondo, mi piace ricordare che quantunque la “Catastrofe” che attraversa opere come “Finale di partita”, tanto per citarne una, un barlume di speranza è sempre possibile. Dicevo di Beckett profeta: l’idea ha origine da una emblematica battuta di “Commedia”: “Ma mi ascolti? C’è qualcuno che mi ascolta? C’è qualcuno che mi guarda? C’è qualcuno che si dà il minimo pensiero di me?”. Una struggente invocazione che raccoglie l’infaticabile ricerca della centralità dell’Uomo in Beckett. Una condizione perpetua dell’essere vivente, scaturita dai suoi interessi per la Filosofia di Bruno e Vico, dalla cultura Zen e dalla lettura di Sant’Agostino, dalla passione per Dante e Leopardi, all’amicizia con Joyce e amore per la sua verde Irlanda ed ancora per il Rinascimento italiano.



Nel teatro di Zeami e in quello di Beckett, niente accade, tutto è già accaduto in modo semplice, ordinario, anche se Theodor Wiesengrund Adorno ha scritto: “Ogni tentativo di interpretazione rimane inevitabilmente in arretrato rispetto a Beckett: il suo teatro, proprio perché si limita ad una realtà empirica infranta, guizza oltre questa e rimanda ad una interpretazione proprio per la sua natura enigmatica”. In questa ottica, Beckett è il massimo scrutatore del Nulla, ha immesso l’Uomo, benché “nascere fu la sua morte” in un alone di gioia. Sempre pieni di humour le sue creature, seppure in devastante castigo, appaiono pronte a dare un senso alla vita. Leggiamo e vediamo personaggi assurdi e surreali, come le coppie Krapp-Magnetofono, Wladimiro-Estragone, Pozzo-Luky, Hamm-Clov, Nagg-Nell, Winnie-Willie, Mercier-Camier, Murphy, Molloy, Malone, Watt e l’innominabile, collocati in una perenne penitenza purgatoriale, ficcati nel ventre della terra, o peggio sepolti in bidoni dei rifiuti, in giare e cilindri fino a scomparire per lasciare in scena solo una “bocca”, solo uno straziante vagito. Eppure, davanti ad una tale desolazione, le amate creature beckettiane sono sempre ricche di voglia di vivere, di parlare e dire di più ad altri o a sé stessi.

Oggi, purtroppo, non si dialoga più: l’Uomo, nonostante la globalizzazione, la possibilità di correre sulle autostrade telematiche, è caduto nel più profondo baratro della solitudine, rimasto da solo a comunicare con un display. Figura nobile quella di Beckett, fine intellettuale, sempre prossimo agli altri, tanto da divenire un santo laico. Alfred Simone, autorevole critico teatrale francese, lo ha definito un “novello San Francesco”. Forse anche per questo, Beckett è stato sempre proteso verso gli ultimi, a quei personaggi, come in tutte le sue opere, avanti con gli anni, più vicini e prossimi alla fine. Per me è un drammaturgo geriatrico. Voglio dire che i suoi protagonisti sono sempre dei vecchi o di “età non definita”, colmi di vita e pronti per andare in scena. Ed allora, con immensa trepidazione, insieme ad Estragone e Vladimiro, saremo lieti di vedere e ascoltare il ragazzo-angelo: “il signor Godot non verrà questa sera… ma verrà… sicuramente domani”. E così anche noi, al sorgere della luna, ricordando Ciaula, sotto l’albero di Giacometti, benché rinsecchito, aspetteremo la radiosa alba futura. Saremo felici.
Antonio Borriello