L’EDITORIALE

Il celebre film con James Dean, già usato parodisticamente da Totò in “I due marescialli”, è più che mai d’attualità. Il marxismo e gli Stati che ad esso si ispiravano, si proponevano di distruggere il capitalismo e tutte le sue manifestazioni storiche. Dove essi non hanno potuto, ci sta riuscendo lo stesso capitalismo. Un suicidio in piena regola, insomma.

Alla ricerca infatti di sempre maggiori profitti, e di costi di produzione sempre più bassi, le maggiori aziende occidentali hanno “delocalizzato” la produzione. In pratica hanno esportato gli impianti manifatturieri nei paesi del Terzo Mondo (definiti con metafora improvvidamente sarcastica “emergenti”), dove pagano la manodopera a prezzi da fame, ed i diritti sindacali sono inesistenti, quasi una moderna riduzione in schiavitù, con la compiacenza dei potentati locali.



Sennonché… Sennonché, si producono, è vero, merci a costi sempre più bassi, ma non c’è più nessuno che se le compri. Sì, perché le classi consumatrici occidentali sono state impoverite, e i nuovi produttori, quelli del terzo mondo, nemmeno se le possono permettere. Insomma è venuto meno il principio etico del capitalismo, quello di creare benessere per l’intera comunità.

Come si lega tutto ciò alla nostra comunità locale?

Nel Mezzogiorno d’Italia, il capitalismo non è mai davvero maturato, stretto da ritardi storici, pastoie etico – sociali, e l’abbraccio soffocante della malavita organizzata (che trova modo di guadagnare anche sulla miseria, vedi usura). E’ un secolo e mezzo che campiamo praticamente di assistenzialismo. Ora quest’assistenzialismo sta esaurendo le sue fonti, e fenomeni come la Lega Nord ne sono il riflesso politico.

Risultato? Si rischia di bruciare, produttivamente parlando, un’intera generazione, quella degli attuali ventenni. Conosco e so di fior di giovani laureati, peraltro in discipline tecnico-scientifiche, che lavorano quattordici ore al giorno per quattrocento euro al mese, e magari non sono nemmeno inquadrati normativamente. Ed i riflessi esistenziali, ma soprattutto sociali di questo stato di cose, possono essere devastanti.

Perché proporre ad un(a) giovane di studiare dieci – quindici anni, se da subito può fare più soldi facendo il meccanico o il barista? E se, dopo tanti sacrifici, guadagnerà la metà di una badante? Una signora di mia conoscenza mi chiedeva se conoscessi qualche situazione lavorativa per sua figlia, “qualsiasi cosa tranne ‘a serva’ ”. Le ho risposto che le collaboratrici domestiche sono quelle più richieste dal mercato.

Certo questi ventenni di oggi sono una bella generazione, hanno capito l’aria che tira, hanno grinta e spirito imprenditoriale, le difficoltà non sembrano spaventarli: chi può emigra verso lidi più prosperi, chi deve o vuole restare si arrangia sperando in un futuro migliore.

Noi uomini e donne medi non possiamo che interrogarci su dove abbiamo sbagliato, e fare il tifo per loro.

Giuseppe Della Monica
Articolo già pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 3 febbraio 2010