LA RIFLESSIONE

Terminologie quali ‘garantismo’, ‘giustizialismo’, ‘giudizialismo’, ‘legaritarismo’, circolano nelle nostre menti alla ricerca di un significato intelligibile, un termine di paragone, una wikipediana definizione che sveli l’arcano. l più delle volte queste si sovrappongono, collimano in sinonimia, s’innestano l’un sull’altra. Nell’anno di grazia 2011 chi si proclama “garantista” non solo è guardato con sospetto ma rischia di essere messo al bando dalla società dei benpensanti. Nella migliore delle ipotesi un utopista, cioè poco meno o poco più di uno stupido. Per molti garantismo significa troppo spesso pretesa di impunità, giustificazionismo, inutile fardello, favola buona soltanto per il Capo e gli amici del Capo. In realtà per esso deve intendersi l’insieme delle garanzie previste dalla Costituzione a tutela delle libertà individuali e di gruppo (libertà di pensiero, di religione, di stampa, di riunione) contro il possibile arbitrio delle autorità. Nell’organizzazione dei processi penali il termine viene più specificatamente riferito a tutte le garanzie di legalità, in riferimento ai diritti della difesa dell’imputato. Importante ricordare che l’Art. 27 della Costituzione italiana sancisce il c.d. principio della ‘presunzione l’innocenza’ secondo cui “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Quella delle forzature ideologiche e del doppiopesismo istituzionale in tema di giustizia è navigazione alquanto perigliosa. Che il ricoprire certe cariche sia ritenuto incompatibile con un’ipotesi di reato è sacrosanta battaglia, nonostante, ad onor del vero, sul piano giuridico ‘incompatibilità’ sia in sé concetto astratto. Il garantismo non ha nulla a che vedere con l’innocentismo o con il colpevolismo, sia che si reputi l’etica il solo metro di giudizio della politica e i pm cavalieri senza macchia o all’opposto l’Italia il Paese più corrotto della Terra, ma serve ad avere una giustizia che possa definirsi tale.
Carmine Apice