Gli studi effettuati dal team di ricercatori dell’Università di Napoli Federico II, del Cnr e dell’Università della Campania Vanvitelli hanno dimostrato che il materiale organico originariamente presente nella bottiglia era olio d’oliva, che, per effetto delle alte temperature a cui la bottiglia è stata esposta al momento dell’eruzione del Vesuvio e dei profondi cambiamenti che si sono verificati nei quasi due millenni di conservazione in condizioni incontrollate, porta le tracce di profonde modificazioni chimiche tipiche dei grassi alimentari alterati. Rispetto a questi ultimi è sopravvissuto davvero molto poco delle tipiche molecole dell’olio d’oliva: i trigliceridi che rappresentano il 98% dell’olio si sono scissi negli acidi grassi costitutivi; gli acidi grassi insaturi si sono completamente ossidati generando degli idrossiacidi che a loro volta, con una lenta cinetica, nel corso di circa 2000 anni, hanno reagito fra di loro formando dei prodotti di condensazione, le estolidi, mai osservati in precedenza nei processi convenzionali di alterazione naturale dell’olio d’oliva. La sostanza grassa (d) nel corso dell’irrancidimento ha, inoltre, prodotto una moltitudine di sostanze volatili che sono quelle rintracciabili in un olio fortemente rancido, derivanti dalla decomposizione dell’acido oleico e linoleico. Il profilo degli acidi grassi saturi e quello dei fitosteroli hanno consentito poi di stabilire con certezza che la materia grassa era di origine vegetale e non conteneva grasso di origine animale, ampiamente utilizzato dalle popolazioni dell’epoca, e che si trattava inequivocabilmente di olio di oliva.
“Si tratta del più antico campione di olio di oliva a noi pervenuto in grosse quantità, la più antica bottiglia d’olio del mondo – commenta Raffaele Sacchi –. L’identificazione della natura della ‘bottiglia d’olio archeologico’ ci regala una prova inconfutabile dell’importanza che l’olio di oliva aveva nell’alimentazione quotidiana delle popolazioni del bacino Mediterraneo ed in particolare degli antichi Romani nella Campania Felix”.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista NPJ Science of Foods del gruppo Nature.