GLI AVVOCATI DEL DIAVOLO

Il tema dell’aborto, a circa trent’anni dall’approvazione della legge 194, non smette di suscitare polemiche e di alimentare un vivace dibattito tra
coloro che si dichiarano a favore della regolamentazione della pratica abortiva, attualmente legale entro certi limiti, e coloro che, all’opposto, considerando l’aborto ontologicamente alla stregua di un omicidio, vorrebbero superare la normativa in vigore. La recente proposta di moratoria dell’aborto, avanzata sull’onda della moratoria della pena capitale, ha rinnovato la polemica, incontrando reazioni contrastanti, che vanno ben al di là degli schieramenti politici. Sono in molti, comunque, a vedere in questa proposta un tentativo di ritorno al passato, allorquando in Italia dilagava la pratica dell’aborto clandestino e la donna, se decideva di interrompere volontariamente la gravidanza, doveva rischiare la propria salute, sottoponendosi ad intervento al di fuori di strutture sanitarie, per mano di medici che, dietro lauto compenso, operavano incuranti di commettere un grave illecito. La legge 194 ha posto fine a quel triste periodo, non criminalizzando più la donna, ma mettendo la stessa in condizione di riflettere serenamente sulla scelta se portare avanti o meno la gravidanza; si è, così, determinata una decisa riduzione degli aborti, perché le donne non devono più nascondersi e possono operare scelte consapevoli, alla luce del sole, con un’opportuna assistenza. Certo, tutte le leggi possono essere migliorate e, da questo punto di vista, la 194 è senz’altro passibile di interventi migliorativi (si parla molto, ad esempio, della necessità di garantire un più corretto funzionamento dei consultori); ma una cosa è la modifica di una norma, un’altra è il suo totale stravolgimento, che, nel caso della legge sull’interruzione di gravidanza, rappresenterebbe un passo indietro per un Paese che ha impiegato anni di dure battaglie per superare la piaga dell’aborto clandestino, di cui, evidentemente, ancora oggi esistono, purtroppo, alcuni nostalgici.
Giovanni e Alessandro Gentile