Italia – Tra gli anglicismi più in voga, negli ultimi tempi, in Italia figura senz’altro “flat tax” (tradotto in italiano: “tassa piatta”). Con questa espressione si suole indicare un tipo di tassazione che prevede, essenzialmente, un’aliquota unica per tutti i contribuenti, a prescindere, quindi, dall’ammontare della base imponibile. La questione della flat tax è assai dibattuta, in quanto attraverso la stessa verrebbe leso, in materia tributaria, un principio sancito dalla Costituzione, che all’art. 53 co.2 stabilisce: “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”

A riguardo ricordiamo che un sistema tributario si dice “progressivo” allorquando al crescere della base imponibile (ad esempio il reddito) il debito d’imposta aumenta in misura più che proporzionale.

La scelta di una tassazione di tipo progressivo è dettata, ovviamente, da ragioni di equità, al fine di garantire il sacrificio economico uguale, sia pure tendenzialmente, per tutti i contribuenti. Appaiono legittimi, dunque, i dubbi di coloro che, proprio riferendosi al criterio di progressività, evidenziano il carattere iniquo di un simile tipo di tassazione. Se, infatti, si opta per un’aliquota unica i contribuenti con maggiore capacità economica sono evidentemente avvantaggiati rispetto ai meno abbienti. Ciò, naturalmente, laddove non vengano introdotti dei correttivi per salvaguardare, pur in presenza di un’unica aliquota, il criterio di progressività: ad esempio attraverso le deduzioni dalla base imponibile. In questo caso, però, si potrebbe ancora parlare di “flat tax”?