GLI AVVOCATI DEL DIAVOLO

L’edilizia abusiva è, come noto, una caratteristica peculiare dell’Italia; da sempre, nel nostro Paese, si costruisce senza rispettare le norme urbanistiche, spesso con grave rischio per l’incolumità di coloro che dette costruzioni vanno ad abitare. Il tema è quanto mai di attualità, se si pensa che, da alcuni giorni, si parla di una proposta di legge volta ad incentivare l’attività edilizia attraverso la semplificazione dell’iter amministrativo che precede la realizzazione dei manufatti. In particolare, la modifica normativa dovrebbe estendere l’applicazione della d.i.a. (denuncia di inizio attività) anche agli aumenti di cubatura di costruzioni già esistenti, entro determinate percentuali. La polemica è aperta e, da parte nostra, pur tenendo presente che la norma non è stata ancora approvata, esprimiamo forti dubbi in ordine alla bontà di una simile proposta. Se è vero, come accennato, che la nostra penisola è stata, nel corso degli anni, riempita di costruzioni abusive, spesso con la complicità delle amministrazioni locali, disposte a chiudere un occhio nei confronti del potente di turno, è assurdo, allora, pensare di affidarsi, in materia urbanistica, proprio a coloro che intendono costruire, confidando, cioè, nel senso di responsabilità di chi ha già dato ampia prova di non rispettare le regole. Le nostre preoccupazioni, del resto, trovano ampia conferma nello scenario di cui siamo quotidianamente spettatori, quello del vesuviano, esempio lampante di come neppure il timore di un evento catastrofico come l’eruzione di un vulcano abbia distolto la popolazione da un’attività edilizia fuori dalle regole. Diciamo ciò, del resto, convinti che il legislatore, nell’elaborare nuove norme, debba essere mosso da una sufficiente dose di pragmatismo; debba valutare, cioè, se i potenziali destinatari delle leggi siano pronti a recepire il contenuto delle stesse, non solo al fine di ottenere gli obiettivi perseguiti, ma anche per scongiurare il prodursi di effetti lesivi per l’intera collettività.
Giovanni e Alessandro Gentile