Una settimana fa le dimissioni da sindaco di Gennaro Malinconico. I partiti trattano per fargliele ritirare

Dopo Ratzinger, anche Malinconico lascia. Nei peggiori bar della città c’è una storiella che viene raccontata ad ogni nuovo avventore che entra con fare abbattuto e che ordina un bicchierino, vedendo in questo l’unica via di fuga ai suoi problemi. La storiella raccontata inizia più o meno così: c’è un avvocato, un po’ più in là della sessantina, tutto s olo chiuso nelle sue stanze adornate da tomi di diritto penale, che vive con tormento l a guida politica di una città tra le più colpite da scandali finanziari, malavita organizzata e non. Più di una volta aveva confidato ad amici e conoscenti la volontà di voler lasciare, di volersi dedicare solo ed esclusivamente al suo lavoro da avvocato ed alla sua famiglia. L’idea forse gli sarà balenata più forte proprio mentre l’oramai papa emerito divulgava al mondo le sue intenzioni di ritirarsi a vita privata. “Se lo ha fatto lui – sarà stato il suo ragionamento -, che ha una responsabilità enorme, perché non io”.
Poi, quella lettera, poggiata sulla scrivania del suo studio a Palazzo Baronale, a firma del prefetto di Napoli, Musolino, che gli “suggerisce”, per usare un eufemismo, di attuare delle azioni concrete per evitare eventuali infiltrazioni criminali nella macchina comunale, come: disciplinare le modalità di affidamento degli appalti, disciplinare l’affidamento degli incarichi esterni (con revoca di tutti g li incarichi a tempo determinato assegnati dalla precedente amministrazione), disciplinare il settore dei servizi sociali, del verde pubblico e dei servizi annessi alla mensa scolastica con criteri trasparenti e imparziali; e poi, ancora, disciplinare l’intero procedimento amministrativo in materia di rilascio di concessioni demaniali marittime e, soprattutto, il prefetto “suggerisce” di valutare la sussistenza dei presupposti per l’avvio del pro- cedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti comunali anche con incarico dirigenziale o di titolarità di responsabilità di posizione organizzativa, con in più la possibilità di decurtazioni stipendiali nei confronti di dipendenti (presenti in un elenco riservato ed allegato alla missiva arrivata sulla scrivania del sindaco).
Quest’ultimo aspetto, lo avrà fatto riflettere sul fatto che, potrebbe scontentare parecchi potentati locali di partito, che basano la loro forza politica proprio sulla “vicinanza” a taluni dipendenti comunali che hanno facilità di manovra tra i cunicoli delle normative che regolano la vita dei comuni cittadini, e, di conseguenza, potrebbe rendergli la vita di governo impossibile, ad iniziare anche e soprattutto dalla redazione di un nuovo piano urbanistico comunale e dalla destinazione dei fondi di Più Europa, che dovrebbero essere il volano per rilanciare l’economia cittadina. Come muoversi avendo dalla sua tutte le forze che lo hanno sorretto alla corsa a sindaco? Qual è la paura più grande che hanno i partiti della sua maggioranza? Lui, l’avvocato penalista fatto sindaco, sa bene c he se si dovesse andare al voto anticipato le possibilità che avrebbe un centrosinistra d i rivincere le elezioni sarebbero ridotte al lumicino, visto che questa volta, un po’ tutti, s i aspettano un effetto tsunami-Movimento 5 stelle anche a Torre del Greco, nonché è storia di questi giorni che c’è un Pdl uscito rinforzato da queste ultime politiche e che può contare per la corsa a palazzo Baronale sul duplex Ciavolino-Borriello. Ancora lui, Malinconico, sa che la minaccia di dimissioni l’ha usata già troppe volte per avere gli effetti sperati, bisogna passare dalle minacce ai fatti. Il pretesto è venuto dall’ultima riunione avuta con le forze di maggioranza, dove il dibattito si è acceso sul giro di poltrone che dovrebbe interessare la giunta comunale. La possibilità che alcuni “pezzi da novanta” della politica locale si vedessero sfilare il proprio riferimento nel governo della città, ha trasformato una semplice discussione in un attacco verbale e quasi fisico all’indirizzo del primo cittadino da parte di chi non accettava che si usasse la regola della spartizione di cencelliana memoria che lo privava di fatto d i un rappresentante nel varo della nuova giunta.
Ed ecco che torna alla mente del navigato avvocato penalista il gesto del papa emerito. Il “gesto estremo”. Dimissioni irrevocabili o quasi. Per ritirarle detta alla “sua” maggioranza le condizioni per un possibile dietrofront; condizioni che, più di uno giura, verranno accettate anche dai cosiddetti “pezzi da novanta” della politica locale. Qui la storiella finisce e, insieme a lei, anche il bicchierino dell’ultimo avventore in uno dei peggiori bar della città.
Alfonso Ancona

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 13 marzo 2013