San Carlo e Ichòs -Napoli-

Insolito poter godere della stessa opera teatrale, con due messe in scena diverse, nella stessa città, durante lo stesso periodo: “L’opera da tre soldi” di Bertold Brecht, dramma con musiche di Kurt Weill. Due registi distinti e distanti Salvatore Mattiello e Luca De Fusco si confrontano: frutto del caso o della naturale propensione alla provocazione del testo brecthiano? Da un lato appassionati e studenti fruiscono del testo al prezzo di 8 euro, trattandosi Sala Ichos di un “presidio culturale di periferia”, dall’altro un pubblico non sempre giovane gode dello spettacolo nella stupenda cornice del rivitalizzato Teatro San Carlo per una produzione di oltre mezzo miliardo. Le polemiche oramai impazzano sui media e sui social network da giorni: proteste per i tagli allo spettacolo ed al Napoli Teatro Festival che cozzano contro i costi faraonici dell’operazione. Ma non importa, del resto è nella pluralità che si ottengono i migliori risultati ed è per questo che entrambi gli allestimenti hanno meritato il successo del pubblico, seppur di diversa specie…
La rappresentazione di San Giovanni a Teduccio, ha concluso il progetto di Ichòs Zoe Teatro "Noi e Brecht", dopo "Baal”, con "L’opera da tre soldi". La Compagnia di Mattiello ha articolato il discorso intorno al drammaturgo tedesco calandosi nelle dinamiche culturali sociali politiche teatrali di Napoli, tentando di affermare il principio che un altro Teatro è possibile e che soprattutto "un altro Brecht è possibile". Impeccabile la Scenografia di Peppe Zinno e Ciro Di Matteo, con soluzioni nette e funzionali, lo spettacolo vede in scena un nutrito cast di attori che si cimentano con il canto: Teresa Addeo, Elena Calabrese, Rosalia Cuciniello, Francesco De Gennaro, Giorgia Dell’Aversano, Giuseppe Giannelli, Giovanna Iovino, Pietro Iuliano, Elvira Mattiello, Massimo Papaccio, Fatima Romagnoli, Rosa Seccia, Gennaro Sasso, Federico Testa, Peppe Zinno. Gli arrangiamenti di Lello La Torre sempre puntuali, accompagnati da Mario Del Buono, Lello La Torre, Gino Protano e Bruno Sasso. Tra loro il maestro Michele Montefusco, musicista di celebre fama, che ha voluto rendere omaggio alla sua città ed incentivare l’operato di Sala Ichos “Questo gruppo di ragazzi -sottolinea il maestro- esprime un’energia, una tenacia ed una voglia di mettersi in discussione raramente riscontrabili nel mondo dello spettacolo!”. Una messa in scena efficace che facilita l’apprendimento del testo ed ottimizza lo spazio e le risorse disponibili; nel susseguirsi degli atti i grassi diventano magri, i vecchi si trasformano in giovani, le belle appaiono brutte, gli uomini si fondono con le donne. Il tutto nel pieno rispetto dell’originale intendimento dell’autore. L’Opera da tre soldi, rappresentata per la prima volta nel 1928, fu uno strepitoso successo e allo stesso tempo uno scandalo enorme: la differenza tra criminali e persone rispettabili sparisce del tutto in questa opera, i soldi rendono tutti uguali, cioè corrotti. Tutto si concentra nella esclamazione di uno dei protagonisti: "la pappatoria viene prima, la morale dopo!" “Noi invece facciamo ciò che possiamo, continuiamo a fare ciò che possiamo e vogliamo tutti i giorni –sottolinea il regista Salvatore Mattiello- tutte le sere, dopo il lavoro di tutto il giorno e prima del lavoro del giorno dopo, ma va bene così”.
L’opera originale, che voleva essere satirica nei confronti della società capitalistica della Repubblica di Weimar è stata messa in scena varie volte in Italia nel secolo scorso. Il dramma conobbe, grazie anche alle musiche di Kurt Weill, una grande popolarità, ed è uno dei testi più celebri di Brecht. Particolarmente importanti, tanto da condurre lo stesso Brecht per la prima volta in Italia, sono state le regie di Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano nelle stagioni teatrali 1955/56 e 1972/73 (dopo il lungo fascista e post-fascista) e le interpretazioni di cantanti del calibro di Milva e Modugno. Tra gli adattamenti dell’Opera fece scalpore il film di Pabst, che è del tutto originale rispetto al testo di Brecht. Anzi, l’Autore, sentendosi tradito, fece causa al regista, ma le perdette.

Al Teatro San Carlo di Napoli, il Direttore del Teatro Stabile e del Napoli Teatro Festival Luca De Fusco, si è dovuto confrontare con questo ingombrante e illustre predecessore, nella veste di regista.
Impeccabile la scelta di Massimo Ranieri, e chi, se non l’istrionico partenopeo dal multiforme ingegno, l’elegante scugnizzo e cantore degli umili, poteva interpretare il brigante dei briganti, il boss Mackie Messer? Con la sua fisicità esplosiva da farabutto e galantuomo, danzatore macabro di efferati delitti, amatore e assassino, emarginato e rivendicatore, Messer è lo scarto di una società corrotta e corruttore a sua volta. Un delinquente del popolo in mezzo ai delinquenti borghesi, figura di eterna attualità, emblema di un umanità marginale eppure protagonista, negli anni 20 come oggi.
Proprio Massimo Ranieri, nel corso dello spettacolo, offre al pubblico un’ulteriore prova del suo talento mettendo in rassegna, senza soluzione di continuità, tutte le sue doti di interprete, cantante, ballerino, acrobata e mattatore. Perdonabili le poche incertezze nella recitazione a fronte di uno spettacolo di tre ore, in cui fa capolino una Lina Sastri non più in piena voce ed alle prese con la complicata interpretazione di Jenny delle Spelonche.
In linea con il taglio registico le scene di Fabrizio Plessi, tra i più grandi videoartisti italiani: una serie di televisori, monitor, computer sullo sfondo del Real Albergo dei Poveri, con effetti luce e costumi postmoderni dalla dimensione atemporale.
La musica di Kurt Weill, che affianca le atmosfere fumose dei cabaret della Repubblica di Weimar ai ritmi jazz d’Oltreoceano, è affidata all’orchestra del Teatro di San Carlo: una scelta legata alla ferma convinzione del regista che «le istituzioni culturali devono fare sistema per produrre grandi risultati».
Risultato ottenuto, secondo la puntuale recensione di Gianmarco Cesario, dopo una “ tormentata produzione dello spettacolo, la cui messa in scena ha sofferto di una serie di rinvii. Ma anche la scelta del teatro San Carlo – obbligata per il numero di attori – nonché le grandi risorse economiche richieste da ogni messa in scena della Dreigroschenoper: il regista ha ampiamente contribuito con uno sguardo da addetto ai lavori alla conoscenza dei meccanismi di produzione di un’opera di questa portata. Luca De Fusco ha inoltre parlato della propria impostazione dello spettacolo affermando di avere scelto una chiave interpretativa ben precisa, che il regista ha definito postmoderna e televisiva. Si è deciso di privilegiare, cioè, il gioco dialettico tra essere e apparire, che è uno dei temi dell’opera di Brecht e che viene aggiornato dando alla messa in scena, un’estetica da musical televisivo”.
Tuttavia “l’estetica da musical televisivo” si riduce a puro esercizio di stile se non si coinvolgono gli spettatori in questa operazione, che sono essi stessi protagonisti di quel cannibalismo umano che Brecht voleva rappresentare allora, e così ancora pertinente e vivo a tutt’oggi: ”ai pasciuti avvoltoi che nel cielo attendono le loro spoglie, gli uomini di quaggiù ammiccano, si fingono morti, e se un avvoltoio si precipita, muti a cena questi uomini lo divorano” (Bertolt Brecht).



Oggi come ad inizio secolo, il pensiero del drammaturgo tedesco viene frainteso dal pubblico, che assiste ilare, inconsapevole e sordo, a quanto lo circonda: allora il vento politico soffiava nella direzione che di lì a poco avrebbe visto l’ascesa del nazismo, oggi una crisi finanziaria che minaccia il fallimento del modello economico e sociale occidentale.

Ranesi