Finalmente, erano anni che sognavo una vacanza così! No, voglio chiarire subito: non sono alle Canarie, e neppure nelle Indie lontane, lussureggianti e misteriose…
Non ci sono affascinanti e disponibili indigene che agitano i loro ampi ventagli di palme per crearmi refrigerio e conforto… E allora, vi chiederete: perché sono così entusiasta della mia vacanza? E’ semplice e, nello stesso tempo, meraviglioso: per la prima volta, nella mia vita, sono solo!

Sì, niente tribù di figli, generi, nipoti, amici dei figli e affini. Posso, una volta tanto, scandire io i ritmi e i tempi delle mie giornate, decidere quando e se voglio mangiare, stabilire se è preferibile uscire per una passeggiata oppure stare in casa, su una comoda sdraio, ad ascoltare musica o a leggere un buon libro…



Nell’euforia di raccontare questo evento memorabile, mi sono accorto d’avere – involontariamente, credetemi! – trascurato un particolare, piccolo ma non proprio insignificante. Ecco, non ho detto tutta la verità, perché non sono proprio “solo solo”. Con me, nella nostra modesta ma confortevole casa al mare nello splendido Cilento, c’è anche mia moglie, però è come se non ci fosse…
Mi spiego meglio, onde evitare possibili equivoci. Abbiamo deciso, io e la mia signora, di ignorarci a vicenda, di “frequentarci” il meno possibile in questo periodo, proprio perché ciascuno di noi possa godere appieno della propria libertà. Viviamo, in sostanza, da “separati in casa”. Qualche volta c’incontriamo, a pranzo o a cena ma, per il resto della giornata, ognuno per i fatti suoi!

A lei, per esempio, piace tantissimo giocare a carte: ebbene, sta organizzando con le sue amiche interminabili tornei di burraco, che durano dall’alba al tramonto, con brevi pause per qualche tramezzino ed una rifocillante tazza di the, o di caffè.

Io, invece, alle 7 del mattino, puntuale come un orologio svizzero, sono già sulla mia efficientissima, per quanto ‘vecchiotta’, bicicletta. Ci pensate? La “bi-ci-clet-ta”! Qui non ho bisogno di prendere l’auto come, purtroppo, sono costretto a fare un anno intero in città. Che sensazione meravigliosa, che salutare ventata di libertà! Poche, decise, pedalate e sono già al porticciolo. Lì c’è Giovanni, il mio amico pescatore, “parcheggiatore abusivo” di barchette e di gommoni durante l’estate.

“Dotto’, dotto’!” mi dice un giorno sì e l’altro pure. “Stamattina so’ venute ‘e guardie. Per poco non la scoprivano…!” e indica la mia ‘sei metri’ ormeggiata alla meno peggio al pontile. Non è vero, lo so bene, però è così che Giovanni mi fa sganciare ogni tanto qualche euro extra, come risarcimento per il pericolo corso.

Dopo la consueta sceneggiata, Giovanni avvicina il natante alla scaletta, m’aiuta a scendere nello scafo, e poi mi augura “buona pesca”. E’ risaputo che i pescatori e i cacciatori sono superstiziosi, guai ad augurar loro ‘buona pesca’ o ‘buona caccia’, ve li fate nemici! A me non importa proprio niente dell’augurio porta-sfortuna di Giovanni, perché io faccio solo finta d’andare a pesca. Mi limito a lasciar penzolare dalla barca alcune lenze, e se poi qualche pesce distratto, o qualche altro deciso a suicidarsi in quanto stanco della vita, si attacca all’amo, beh, questi sono fatti loro…

Il mio andar per mare ha un solo scopo; starmene in santa pace! Percorro, infatti, neppure mezzo miglio e getto l’ancora in una caletta che mi ripara da voci schiamazzanti e da sguardi indiscreti. Alzo la tendina parasole e subito dopo mi immergo.. No, non faccio il bagno, quello verrà più tardi, forse. M’immergo nella lettura di un testo di storia. E’ di un autore rinascimentale, che svela i misteri dei veleni preparati dalla famigerata Lucrezia Borgia. La storia è la mia grande passione, da sempre; il mio amore per il passato, per i “perché” piccoli e grandi che questo pone, è addirittura “maniacale”, almeno secondo mia moglie. Però, in un certo senso, è vero: non posso fare a meno di chiedere notizie, d’informarmi su luoghi ed eventi, è più forte di me…

Per esempio, vado a Campobasso, e mi prende, viva, la curiosità di sapere perché si chiami “Campobasso” quella città che sorge ‘in alto’, a circa mille metri sul livello del mare. Mi reco negli archivi comunali, ricerco, e arrivo alla soluzione dell’apparente enigma. Che soddisfazione!
E ancora. Mia moglie si dovette, anni fa, ricoverare d’urgenza all’ospedale “Incurabili” di Napoli. Volete che ad uno come me, una volta superato lo stato di pericolo per la consorte, non sorga spontanea la domanda: per quale motivo hanno chiamato ‘Incurabili’ questo luogo dove si curano gli ammalati? Naturalmente, l’ho scoperto, così come venni a capo dell’apparente mistero circa la denominazione del capoluogo molisano.

E’ proprio vero: la curiosità è all’origine del sapere, è la molla che stimola la conoscenza… Forse qualcuno dei lettori si sarà incuriosito, gli farebbe piacere sapere il perché del nome della città e del nosocomio partenopeo. Potrei anche appagare il suo desiderio, ma non lo faccio, per non contraddire quanto sto sostenendo: sia curioso, ricerchi, studi… e saprà!

Verso mezzogiorno, il sole comincia a farsi sentire con maggiore insistenza. Anche il mio stomaco brontola e mi invia inequivocabili segnali di insofferenza: forse è meglio rientrare. Ripongo gelosamente il mio libro sulla Borgia al riparo nella minuscola cabina della barca: è in buona compagnia, tra un prezioso manoscritto medievale, quasi sconosciuto, in tardo latino, ed una rara edizione di un pregevole studio sul brigantaggio nel napoletano e nel casertano.

Li ho trovati, per caso, su una bancarella a Port’Alba, pagandoli niente, quasi quanto un comunissimo ‘giallo’ della Mondadori. Al solo pensiero di quando comincerò a sfogliarli, mi prende un’eccitazione che a stento riesco a controllare… E’ come un brivido che mi percorre la schiena, un piacere sottile, molto simile ad un orgasmo, profondo e prolungato.

Tutto felice, riavvio la barca e la dirigo verso il non lontano porticciolo. Giovanni è sempre lì, mi saluta e mi fa cenno di ancorare proprio di fianco al “dodici metri” che in quel momento sta terminando la manovra d’attracco al pontile. E’ di un nuovo “cliente abusivo” e, a giudicare da come Giovanni si prodiga per facilitare l’approdo della barca, dev’essere uno che già gli ha sganciato una mancia più che lauta, e chissà quanto ancora dovrà tirar fuori dal suo portafogli!

“Dotto’, come è andata la pesca?” mi fa il mio amico ‘sanguisuga’.

“La pesca? Ah, sì, Giovanni, scusami…” rispondo, ma sto ancora pensando alla Borgia. “Credo…Bene…” aggiungo, mostrandogli il cestino.

“Ma come, dite ‘bene’, dotto’, e qui dentro non ci sta manco un’alice!”

“Appunto, Giovanni. Volevo dire che è andata bene per i pesci.”

Gli sorrido e inforco la bicicletta, mentre Giovanni continua a fissarmi, stranito. Scommetterei che sta pensando – giustamente, dal suo punto di vista – che le mie “rotelle” non girino tutte nella stessa direzione…

A casa m’aspetta una sorpresa: c’è mia moglie!

“E che è successo?” le dico ironico. “Le tue amiche si sono buscate un’influenza fuori stagione? Oppure c’è stato un imprevisto sciopero dei fanti e delle donne, che protestano per il superlavoro cui li sottoponete?”

“Non scherzare, Emanuele…” mi risponde seria. Ha telefonato Giulia…”

“Giulia?” e adesso mi preoccupo. “Non stanno bene le bambine?”

“No, no. Per fortuna, stanno tutti bene. E’ solo che nostro genero è dovuto partire all’improvviso per la Romania. Ci sono problemi nella filiale che la sua azienda ha impiantato da poco…”

“Tutto qui? Meno male!” sospiro sollevato. “Mi stava quasi prendendo un coccolone…”

“Aspetta, non t’ho detto ancora tutto..”

“Lo sapevo! Tu le notizie, specialmente quando sono cattive, le somministri sempre con il contagocce!” m’arrabbio spazientito. “Su, forza, tira fuori il rospo!”

“Ecco… Giulia è rimata sola con le bambine … In città fa un caldo insopportabile…”

“E allora?” l’incoraggio.

“E allora, e allora! Che potevo fare? Insomma, Emanuele, non tiriamola per le lunghe: l’ho invitata qui!”

Per un attimo, fatico a mettere a fuoco; poi, quasi con le lacrime agli occhi, farfuglio: “Stanno venendo qui? Giulia… e anche le bambine?”

“E certo che si porta le bambine!” sbotta mia moglie. “Ti sembrerà strano, ma pare che le tre ‘signorine’ non abbiano trovato posto in albergo, a Nizza e in tutta la Costa Azzurra” aggiunge ironica.

“Sono passati appena cinque giorni…” mi lamento sommessamente. “Stavamo così bene, da soli… Ci pensi? Le pappine… Le notti insonni… I capricci, i litigi continui tra le due streghette più grandi… E’ tutto l’anno che stiamo dietro a Giulia e alle bambine… ”

“Lo so, cosa vuoi. Ma quando ci sono i figli e tre nipotine, bisogna mettere in preventivo queste eventualità, non si può essere egoisti…” mi rimprovera mia moglie. “E poi” riprende facendomi il verso “non sei tu quello che, pavoneggiandosi con amici e conoscenti, afferma, tutto sorridente e soddisfatto, che ‘nonno è bello’?”.
Ernesto Pucciarelli