La tradizione e la cultura dell’8 dicembre tornano ad essere accolte dal popolo corallino
Alla vigilia della festa più cara ai torresi, il nostro giornale ha deciso di parlare della pietà popolare e Immacolata-2014

dell’Immacolata con un esperto che ci dicesse qualcosa “di più” e “di diverso” dalla storia, che tutti conosciamo bene, e dalla descrizione del carro di quest’anno, che abbiamo già pubblicato (si veda il numero del 24 ottobre) e che è presente anche in Internet grazie a un video realizzato da don Giosuè Lombardo, parroco di Santa Croce. E allora abbiamo voluto incontrare il professor Giuseppe Falanga, il quale ci ha arricchito con il suo sapere e ci ha emozionato con alcune sue risposte alle nostre domande.

L’appuntamento è alla Facoltà di Teologia a Capodimonte, dove insegna e dirige l’ufficio che cura tutte le pubblicazioni scientifiche della Sezione intitolata a San Tommaso d’Aquino, comprese le due prestigiose riviste (Asprenas e Campania Sacra) di cui è direttore responsabile. Ci accoglie con grande cordialità, ma stranamente, al suono della campanella, si alza e ci invita a seguirlo in una grande aula al secondo piano della moderna e bella struttura.
Ci ritroviamo con tanti preti, giovani e più avanti negli anni (alcuni africani, indiani, sudamericani), frati e qualche donna. Tutti seduti e pronti ad ascoltarlo. Solo dopo ci dirà che si tratta degli alunni che frequentano un corso comune ai due bienni per la Licenza in teologia: sono parroci, sacerdoti novelli, laici chiamati ad insegnare, i quali si specializzano nelle varie discipline teologiche per rendere il loro servizio più qualificato e adeguato alle esigenze della Chiesa e del mondo contemporaneo.
Comincia la lezione e il nostro block notes, portato per scrivere le risposte a un’intervista, si trasforma in quaderno di appunti.
«Non c’è nulla di cui la teologia ha così urgente bisogno quanto dell’esperienza religiosa contenuta nei simboli e nei racconti popolari. Ad essi deve riferirsi se non vuole morire di fame […]. Più che mai la teologia ha bisogno del pane della religione, della mistica e dell’esperienza religiosa della gente semplice». Inizia così un interessante discorso che si allarga alla “richiesta del sacro”, alle nuove forme di religiosità, alle tendenze apocalittiche, al fascino delle religioni dell’Asia, all’azione disgregatrice dalle cosiddette “sette”, alla frammentazione del New Age, per arrivare alla pietà popolare. «Di per sé, essa non è un’espressione patologica o una devianza, ma una forma cultuale debole; in sé è sana, anche se è vulnerabile e mostra i caratteri dell’incompiutezza. In essa, perciò, i valori autentici della spiritualità cristiana possono essere compresenti agli aspetti apocrifi e distorti che la obnubilano».
E ancora: «La pietà popolare è portatrice di una vitalità potente. Che questa vitalità sia interpretata come una religiosità naturale o come una credenza cristiana all’etnologo può apparire secondario, perché essa precede l’evangelizzazione e il Battesimo. Essa, infatti, preesiste al cristianesimo; ma il cristianesimo non ha la missione di cancellarla o di estinguerla, né di annullarla o di ridurla all’impotenza».
Entra poi nello specifico: «Facciamo riferimento alla Campania, in cui la pietà popolare è ancora oggi un’espressione ricca e variegata, attraverso la quale il nostro popolo, con i tratti tipici dei popoli meridionali, esprime quella “passionalità” in cui si collocano, in modo particolare, quelle situazioni a volte estreme della vita quotidiana, che mettono i singoli e le famiglie di fronte alla percezione piena della morte e della vita. È dentro questo vissuto così diffuso che la nostra gente, al di là delle inevitabili contraddizioni, esagerazioni o anche contaminazioni, riesce a dare corpo e vita alle famose parole di Paolo VI, quando affermava che “la religione del popolo è ricca di valori”. È questa realtà culturale e spirituale che il popolo campano, nei singoli centri, traduce attraverso il linguaggio della festa e della ritualità “a modo suo”, così come viene sottolineato anche nel Direttorio vaticano su pietà popolare e liturgia».
La lezione va avanti per due ore e si conclude con una citazione di quello che il professore chiama un “profeta dei nostri giorni”, don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, uomo di pace e grande educatore, troppo prematuramente scomparso: «Santa Maria, donna feriale, aiutaci a comprendere che il capitolo più fecondo della teologia non e quello che ti pone all’interno della Bibbia o della patristica, della spiritualità o della liturgia, dei dogmi o dell’arte. Ma è quello che ti colloca all’interno della casa di Nazareth […]. Allenta gli ormeggi delle nostre paure, perché possiamo sperimentare come te l’abbandono alla volontà di Dio nelle pieghe prosaiche del tempo e nelle agonie lente delle ore. E torna a camminare discretamente con noi, o creatura straordinaria innamorata di normalità, che prima di essere incoronata regina del cielo, hai ingoiato la polvere della nostra povera terra».
Antonio Civitillo

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 5 dicembre 2012