Il romando di Francesco torrese racconta le vicende di un sacerdote missionario che diventa Papa

Ci sono momenti della Storia – e quello che viviamo è uno dei questi – in cui il mondo si ferma e guarda a un evento con il fiato sospeso. Il Conclave di Santa Romana Chiesa per l’elezione del nuovo Pontefice si staglia fra gli avvenimenti di portata storica come un tempo a sé, in cui le fasi che lo contraddistinguono non si ripetono, e resteranno per sempre vivide nella memoria di chi lo racconterà e ricorderà. Il Conclave che questo romanzo percorre, appunto in qualità narrazione fantastica, possiede degli elementi di eccezionalità che, è la Storia a insegnarcelo, lo rendono reale, vivido e perciò più vicino a noi. Il lettore si lascerà catturare dalle pagine – perché la vicenda è intrigante, la scrittura felice, e i personaggi verosimili – facendosi guidare in un mondo misterioso ma in qualche modo a tutti noi familiare. Ne scaturisce la storia di un Papa nuovo e coraggioso. Di una specie che, sono certo, a molti fedeli piacerebbe. Perché nel passato, anche recente, di Pontefici di questo tipo ogni credente serba in cuor suo un pezzo particolare. E perciò queste pagine su documenti segreti, progetti di attentati, infedeltà e veleni, sembrano prese di peso dalla realtà. Eppure “L’Anello del Pescatore” è “solo” un romanzo, ma un romanzo vero, ricco di sensazioni e a tratti intrigante come un thriller. Racconta, in due parole, la storia di un uomo b uono che, quasi per avventura viene eletto Papa, e accetta di guidare la Barca di Pietro che il Conclave gli ha affidato seguendo i dettami che Gesù Cristo stesso aveva insegnato al suo Primo Vicario. Un Papa contro il Papato? Certo il nostro protagonista si chiede: perché tutta Curia mi è contro? Dove sbaglio facendo solo quello che Cristo mi impone di fare… Francesco Torrese in questo ha centrato il suo obiettivo, ancorandolo alla realtà. Perché a volte accade che si verifichi una singolare sinergia, quasi osmotica, tra uno scrittore e l’ambiente che lo circonda. E accade che questi, percependo nell’aria vibrazioni di corde non ancora toccate, si trovi a scrivere d i un argomento che poi, di li a poco, diventa non solo attualità assoluta, ma addirittura cronaca. Il romanzo d’ambiente è, per definizione, un parto della fantasia dell’autore, il quale poi a seconda della sua volontà o dell’abilità riesce a mantenersi sulla difficile linea di confine tra il vero e il verosimile che rende la finzione letteraria appassionante per il Lettore. Però accade anche, e questo è il caso, che una storia raccontata in un romanzo si intrecci così decisamente con la realtà da sembrarne quasi il racconto della stessa. E per molti versi “L’Anello del Pescatore” è così ricco di analogie con la vicenda di Benedetto XVI, con il suo Pontificato interrotto, da dare l’impressione che l’Autore ne abbia da essa tratto lo spunto. Chi conosce però la tempistica della produzione letteraria sa che non può essere così per questo caso. E a quanti non la conoscono affido la mia testimonianza di una conoscenza almeno biennale della fatica letteraria di Torrese. Prescindendo comunque dai temi di stretta attualità, “L’Anello” è un romanzo che tratta pure, senza infingimenti, di argomenti come il controllo delle nascite, l’ordinazione religiosa femminile, il celibato sacerdotale, tutti temi continuamente al centro di dibattiti e che certamente finiranno per generare riflessioni profonde nella coscienza di ogni lettore. Eppure le pagine scorrono leggere. Perché Francesco Torrese è uomo, oltre che colto, spiritoso. Dunque persona avvezza alle cose alte: la giurisprudenza, le considerazioni filosofiche, gli argomenti profondi della religione. E come tale, perciò attenta anche ai temi più terreni, allo scherzo persino. E’ stato perciò un effetto quasi straniante, per me, ritrovarmi dentro al romanzo come personaggio, seppure di secondo piano, e per fortuna. Qui il giornalista “di carta” che si occupa di cose vaticane, con lo stesso nome e cognome che porto, fa troppo onore alla sua controfigura reale. Perché, lo posso assicurare, ne è di gran lunga un esempio migliore.
Recensione di Marco Ansaldo

Nota dell’autore – Torrese: "ecco perchè ho scritto questo libro"
"L’Anello del Pescatore" non è un saggio e nemmeno ha pretese d’essere un ‘libro inchiesta’. Del primo possiede la ricerca più attenta che abbia potuto fare, non essendo uno specialista del settore, sulle procedure vaticane, sulla struttura delle varie organizzazioni, sulle regole canoniche che la dirigono. Del secondo raccoglie una straordinaria coincidenza temporale che lo pone alla vostra attenzione nel momento stesso in cui i temi che nel libro si dibattono sono gli stessi che occupano la cronaca di questi giorni. L’Anello del Pescatore è essenzialmente un romanzo, un’opera cioè di assoluta fantasia dell’autore, che racconta le vicende di un sacerdote missionario che diventa Papa. La circostanza poi che questo Papa rappresenti quello che tutto il mondo vorrebbe alla guida della Chiesa, e che un Papa del genere nella realtà, proprio come accade nel romanzo, metterebbe l’intero apparato curiale di fronte ad errori di millenaria durata nell’obbedienza ai precetti del Cristo, è cosa della quale sono certo. Perché ho scritto questo romanzo? Credo di averlo scritto per tanti motivi, alcuni generici, altri più specifici. L’ho scritto perché sin da quando ho memoria ho sempre amato questa forma di comunicazione e la capacità che la parola scritta ha di trasmettere emozioni, sentimenti, informazioni, e senza scrivere non so stare. L’ho scritto perché avevo moltissime domande e nessuno che mi rispondesse adeguatamente e allora ho usato la Voce Grossa della letteratura sperando che qualcuno mi senta e sappia darmi quelle risposte. L’ho scritto perché trovo indecente vedere in televisione un Cardinale che va in visita ad un villaggio pieno di bambini che muoiono letteralmente di fame, addobbato con le sue catene e croci d’oro e con il suo anello con rubino. L’ho scritto perché sono arrabbiatissimo con la Chiesa Istituzione che con i suoi comportamenti ha permesso che il solco tra Dio e me diventasse così profondo che non credo sarò mai capace di saltarlo. L’ho scritto perché forse, in cuor mio, ancora spero che un Papa come quello del mio romanzo, sia appunto il Ponte-fice che mi consenta di superare quel solco. Approfitto di questo spazio tutto mio per dire un doveroso grazie di cuore alle persone senza le quali oggi non avreste potuto tenere tra le mani queste pagine.
L’autore Francesco Torrese



Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 13 marzo 2013