Nella seconda metà dell’800 Torre del Greco ritorna ad essere una località turistica, facilmente raggiungibile per mezzo dell’antica Strada Regia delle Calabrie, che partendo da Napoli attraversava i comuni costieri. Il centro turistico della città si sviluppò a settentrione del centro storico, sulle dolci pendici del vulcano dove su un piccolo promontorio, era posto il convento dei Cappuccini. Qui troviamo già un certo numero di case Via-Cappuccini-Cartolina

borghesi limitrofe al centro urbano e realizzate tra la città e la campagna. L’area è delimitata a sud-ovest dalla via Cappuccini, a nord-est da via Sedivola, a nord-ovest da via Tironcelli, ed infine a sud-est dalla via Circumvallazione, costruita dopo l’eruzione del 1861, che scavalcando l’antico centro urbano crea un più veloce collegamento con Torre Annunziata. In questa zona vengono costruite tra la fine dell’ottocento e i primi decenni del novecento, in modo sparso le abitazioni della classe dirigente torrese, costituita da numerosi mercanti-armatori, banchieri e i così detti “Fabbricanti”, che rappresentarono il trair-d’union tra le attività del mare e del commercio dell’intero ciclo economico del corallo, le cui residenze visualizzavano il loro status sociale. Questo gruppo ristretto di famiglie subiranno una grossa trasformazione passando da fabbricanti a manifatturieri-commercianti. La lavorazione e la commercializzazione del corallo quasi sempre condotto a livello familiare, portò alla realizzazione di nuovi edifici dove non solo si lavorava il prodotto ma lo si esponeva in eleganti saloni. Come farà Vincenzo Piscopo, che nel 1924 inaugurava lungo via Vittorio Veneto, una sede permanente per esibire i suoi manufatti di corallo. Ma farà ancora di più, con l’apertura dell’autostrada Napoli-Pompei con l’intento di sfruttare il flusso turistico costruisce, lungo il tratto autostradale un centro di produzione ed esposizione della sua produzione.

Ma come si presentava l’area alla fine dell’800? Essa era prevalentemente agricola, molto parcellizzata e con una edificazione molto regolare. Qui il tipo edilizio prevalente era quello del “palazzo“ urbano residenza stabile del proprietario associato ad un fondo rustico annesso all’abitazione. L’unità edilizia si sviluppava su due o tre piani dove al primo piano si collocava la residenza del proprietario, mentre ai piani inferiori e superiori vi erano gli alloggi degli affittuari e dei dipendenti. I giardini e gli orti erano recintati da muri a secco, realizzati con scardoni di pietra lavica, recuperati in loco, che delimitavano anche le differenti quote tra lotto e lotto, caratteristica questa dell’area, che ha visto il territorio trasformarsi continuamente per le numerosi eruzioni del Vulcano. Dalla carta vulcanologia del settore sud-occidentale del Vesuvio edita dall’istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Pisa nel 2013, notiamo che l’area è stata ricoperta più volte da flussi lavici o ricoperta da depositi piroclastici. Sull’eruzione romana del 79 d.C., caratterizzata dalla presenza di depositi di flussi piroclastici sia densi che diluiti con granulometria variabile, si vanno a soprapporre quelli medievali, formate da lave trachivasaltiche dette di Calastro, attribuibili ad una eruzione avvenuta tra la seconda metà del IX e la prima metà del X secolo, alimentata da una bocca eruttiva, presente nel fondo della villa delle Terrazze. Sono poi riportate le lave che vanno dal 1631 al 1944, dove sono presenti numerose fratture apertesi nel corso dell’eruzione del 1861 secondo la cartografia di Luigi Calmieri del 1862. Ma anche i fenomeni atmosferici, e i forti rovesci di pioggia, cadendo su un territorio in forte pendenza composto da cenere e lapilli, provocavano lo scivolamento a valle di detriti di ogni genere e di acque fangose, che si rivelarono pericolosi in più occasioni. Così fu per la violenta pioggia caduta nel 1908, che causò la formazione di:” Impetuosi torrenti fangosi”, che distrussero interi raccolti stradicando perfino le radici degli alberi dal terreno. I locali al piano terra delle case ai Cappuccini, furono invasi da sabbia mista a piccoli ciottoli per una altezza di un metro e mezzo con danni che ammontarono a 74000 mila lire. Ricordiamo che gli alvei avevano anche funzione di vie di comunicazione per gli abitanti che lavoravano e abitavano in campagna. Dopo questo disastro il Genio Civile, iniziò a costruire un nuovo collettore sempre a cielo aperto, per risolvere il problema dell’allacciamento e convogliamento delle acque, che scorrevano per le vie Montedoro-Cappuccini. Il collettore attraversava con apposite opere d’arte la ferrovia Circumvesuviana, la strada provinciale per poi sboccare a mare in località Calastro. Il territorio fu difeso creando questi due grandi canalizzazioni, che per mezzo di ponti permettevano di raggiungere i fondi agricoli. Solo più tardi gli alvei saranno coperti e le aree agricoli a loro confinanti saranno trasformate in aree edificabili.
arch. Giorgio Castiello

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 25 febbraio 2015