Per il crac sono finiti dietro le sbarre Carlo, Angelo e Angela Di Maio

Primi risvolti giudiziari per gli amministratori della Dimaiolines, la compagnia armatoriale torrese fallita a fine 2010: a finire dietro le sbarre il titolare della società che aveva sede in viale dei Pini, Carlo Di Maio, la sorella Angela ed il cugino Angelo.
Per il trio imprenditoriale, che per anni ha rappresentato una delle realtà economiche più consolidate nel panorama regionale e non, l’accusa è di bancarotta fraudolenta e false comunicazioni sociali. Non solo la famiglia Di Maio, i provvedimenti cautelari emessi dal gip di Torre Annunziata hanno aperto le porte del carcere anche per Angelo Pica (presidente del collegio dei sindaci e allo stesso tempo, secondo l’accusa, consulente
contabile della società), mentre il provvedimento impone gli arresti domiciliari per Massimo Balzano
(dipendente della Dimaiolines che, stando alle tesi della Procura, avrebbe sottratto dagli uffici alcuni documenti utili alla ricostruzione del patrimonio della compagnia di navigazione), Alfredo Ibello e Concettina De Felice, entrambi – insieme al presidente Angelo Pica – componenti del collegio sindacale che avrebbero omesso di esercitare i loro poteri di controllo sulle operazioni della società armatoriale. Un ottavo indagato, residente in Svizzera, è stato raggiunto da una richiesta di rogatoria internazionale per l’arresto. I provvedimenti sono il risultato di un’inchiesta avviata dai giudici di Torre Annunziata nel settembre 2010 in seguito alla denuncia di alcuni obbligazionisti della Dimaiolines che avrebbero prestato soldi direttamente alla famiglia Di Maio con modalità totalmente irregolari. La società – fallita il 23 settembre 2010 con un passivo familiare da 10 milioni
di euro, anche se i crediti reclamati dagli obbligazionisti ammontano a circa 40 milioni – portava avanti una raccolta abusiva del risparmio, costituita da ingenti somme di denaro che venivano poi depositate sui conti personali dei Di Maio, nonostante il dissesto finanziario e l’insolvenza della società, avvenuta nel 2010. I provvedimenti restrittivi includono anche le operazioni legate a ‘Baia Sardinia’, l’unico traghetto che – secondo gli inquirenti – poteva essere venduto per far fronte ai debiti e che invece è stato ceduto ad una società
liberiana che l’ha poi girata a demolitori turchi per non inserirla nelle procedure fallimentari.
Niar
Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 4 aprile 2012