Il nostro codice di procedura penale è strutturato in maniera tale da prevedere, per coloro che sono accusati di avere commesso reato, idonee garanzie di difesa. Affinché ciò avvenga il soggetto incriminato deve essere messo in condizioni di conoscere l’accusa mossa nei suoi confronti ben prima che un giudice sia chiamato a decidere in merito alla sua responsabilità.

Esiste un caso, tuttavia, previsto dal nostro ordinamento, nel quale il provvedimento di condanna può anche rappresentare il primo atto, del procedimento penale, che viene reso noto alla persona accusata: è, questa, l’ipotesi di cui all’art. 459 c.p.p., del c.d. “decreto penale di condanna”. Tale decreto può essere emesso dal giudice, su richiesta del pubblico ministero che ha condotto le indagini, solo per reati (siano essi delitti o contravvenzioni) per i quali la legge prevede la possibilità di applicare la sola sanzione pecuniaria.

Il decreto penale di condanna, una volta emesso, deve essere portato a conoscenza dell’interessato: il codice, infatti, prevede che detto provvedimento debba essere notificato sia al condannato che al suo difensore. In tal modo la persona che si è vista condannare per avere commesso reato è in grado di esercitare il suo diritto di difesa, attraverso l’atto di opposizione avverso il decreto penale. L’opposizione, tuttavia, è assoggettata a un termine ben determinato, pari a quindici giorni, che decorrono dal momento in cui il provvedimento di condanna è stato notificato. Attraverso l’atto di opposizione il condannato potrà, quindi, esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, chiedendo, laddove lo ritenga, di evidenziare l’assenza di qualunque profilo di responsabilità panale su di lui gravante.
Alessandro e Giovanni Gentile



Rubrica gli “Avvocati del Diavolo” tratto da La Torre edizione cartacea