GLI AVVOCATI DEL DIAVOLO

Anche i giudici di merito emettono sentenze destinate ad essere oggetto dell’attenzione mediatica: è questo il caso di una recente sentenza della Corte d’Appello di Milano, che ha derubricato un reato di violenza sessuale (in questi termini qualificato dal giudice di primo grado) nella ben meno grave ipotesi di ingiuria, prevista dall’art. 594 c.p.. I giudici di Milano hanno riesaminato il caso di un uomo, colpevole di aver ‘allungato’ una mano sul sedere di una donna; per questa condotta aveva appunto riportato una condanna per violenza sessuale, riformata, poi, dai giudici d’appello. Caso clamoroso? Prescindendo dall’analisi delle circostanze del caso concreto, a noi non note, la qualificazione in termini di ingiuria di un simile comportamento deve ritenersi, a nostro avviso, almeno in astratto possibile. In vero il legislatore, nel punire il reato di violenza sessuale, è ricorso ad una locuzione, quella di "atti sessuali", la quale si presta a molte interpretazioni diverse, ma che, in ogni caso, non è idonea, di per sé, a ricoprire tutti i casi in cui la condotta non consentita è diretta a parti del corpo che riguardano la sfera sessuale di una persona. Occorre distinguere, infatti, i casi in cui l’atto è effettivamente lesivo dell’altrui libertà sessuale da quelli in cui un comportamento, pur deprecabile, non viene percepito come violenza sessuale, quanto, piuttosto, come un’offesa all’onore e al decoro personale. La qualifica giuridica del fatto dipende, ovviamente, dalle modalità dello stesso, dalle circostanze del caso concreto, le sole in grado di escludere il configurarsi di un reato così grave, e pesantemente sanzionato, come la violenza sessuale. Ancora una volta, però, sarebbe il caso che il legislatore intervenisse a fare chiarezza, spiegando una volta e per tutte che cosa debba intendersi per "atti sessuali"; evitando, così, che l’individuazione del reato in questione venga rimessa, in barba al principio di legalità, all’attività interpretativa (o creativa?) di una pur sempre ondivaga giurisprudenza.
Giovanni e Alessandro Gentile