Avvocati del Diavolo

C’era attesa per la decisione della Cassazione in ordine alla liceità o meno della coltivazione di marijuana, Anche se per uso personale. La sentenza della Suprema Corte a sezioni unite è giunta a porre fine al contrasto giurisprudenziale formatosi sul tema, stabilendo una volta e per tutte la penale rilevanza della condotta di chi, anche non per fini di spaccio, coltivi le piantine ‘incriminate’. Duro colpo, quindi, per gli Antiproibizionisti, per i quali non resta che prendere atto, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, che il nostro Stato mantiene una linea ‘dura’ in tema di sostanze stupefacenti, al fine di ridurne il più possibile la diffusione e il relativo consumo. I giudici, d’altra parte, in primis quelli della Suprema Corte, sono chiamati ad applicare le leggi e, prima ancora, ad interpretarle; pur non potendo (almeno in astratto) svolgere alcuna funzione di politica criminale, che spetta ovviamente al legislatore, finiscono spesso per essere considerati gli artefici delle ingiustizie del nostro Paese. La sentenza in questione, a parere di chi scrive, legittima un’ingiustizia, poiché riteniamo che la semplice coltivazione di marijuana non giustifichi, di per sé, l’applicazione di una sanzione penale; ma tale decisione, è bene non dimenticarlo, è frutto dell’interpretazione di una norma preesistente, che non abbiamo alcun motivo di ritenere volontariamente orientata verso un inasprimento del sistema repressivo. E’ al legislatore, dunque, che bisogna rivolgersi (ma con quali speranze?), affinché, riveda la normativa in materia di stupefacenti: oggi più che mai è necessario innanzitutto fare chiarezza, con norme che scongiurino un andamento ondivago della giurisprudenza su una materia così delicata; e, poi, tema a noi caro, cominciare ad abbandonare l’idea che l’approccio proibizionista sia il solo in grado di limitare l’uso degli stupefacenti, la cui larga diffusione, soprattutto tra i giovani, è il prodotto di leggi con la quali si è scioccamente ritenuto di delegare al sistema penale la lotta alla droga.
Giovanni e Alessandro Gentile