Erano le due uniche parole che Luna aveva imparato a pronunciare in italiano. trenta euro!

Agli automobilisti che le si avvicinavano accostandosi ai margini della dissestata strada provinciale, rispondeva sempre in quest’unica, identica maniera. Non capiva null’altro di quello che le dicevano; trenta euro era la “tariffa” che le veniva corrisposta ogni volta che vendeva il suo corpo, ad occhi chiusi, rimandando indietro le lacrime che le scorrevano copiose sulle guance.

Aveva poco più di sedici anni, Luna, sedici anni in cui c’erano state, per lei, solo sofferenze e mortificazioni…
Veniva da una terra lontana, da uno sperduto villaggio nel cuore di una foresta ai margini dello Zambesi. Come capitava a tante altre bambine della sua comunità, a neppure dodici anni, diventò sposa di un anziano della sua tribù che, in cambio di sette pecore, la condusse nella sua capanna. Diventò una delle tante mogli del suo agiato marito e, di lì a poco, avrebbe cominciato a svolgere il compito al quale era destinata: mettere al mondo dei figli, tanti figli, perché un buon numero dei piccoli che sarebbero nati, per una serie infinita di ragioni, non avrebbero avuto una lunga vita.
Lì, nella sua terra, la chiamavano Asmra, e quel nome significava “Nera gazzella che corre”. Adesso, in Italia, era Luna, perché il suo buon amico Nadir le aveva detto che, quando accennava ad un sorriso, i suoi denti bianchissimi risaltavano su quel suo volto nero-ebano, come un raggio di luna che rischiara una notte senza stelle. Ma com’era diventata Luna?
Tutto iniziò quando, una sera, Jasmine, una moglie-bambina come lei, le sedette accanto e, dopo un lungo silenzio, cominciò:
“Sento che di te posso fidarmi, Asmra” le aveva detto Jasmine. “E poi, se venissi anche tu mi sentirei più tranquilla…”
“Venire con te? E per andare dove?”
“Ho conosciuto Abel, un uomo di un villaggio vicino. Mi ha detto che tante ragazze come noi l’hanno già fatto.”
“Fatto cosa?”
“Sono fuggite da questo posto terribile, da questa nostra vita senza futuro… Abel le ha portate in Italia, un paese meraviglioso, dove tutti sono liberi e le ragazze della nostra età hanno la possibilità di lavorare, di crearsi un avvenire… Io ho già deciso: partirò tra due notti. Sono riuscita a mettere da parte un po’ di soldi… Abel ha detto che bastano per il viaggio… Il resto glielo darò dopo, una volta in Italia, con il denaro che mi farà guadagnare…”
“Tu sei pazza… Partire per un mondo sconosciuto… E se poi dovessi pentirtene?”
“Ragiona, Asmra. Ti sembra che possa esserci una vita peggiore di questa? E poi, sicuramente avrai sentito anche tu parlare dell’Europa, dell’Italia, delle grandi opportunità che offrono i Paesi più avanzati… Abel mi ha spiegato tutto…”
“Abel, Abel… E perché questo Abel si è offerto di aiutarti? Chi è, un missionario, un santo, un benefattore?”
Jasmine arrossisce.
“Non credo che sia importante… Abel dice di essere innamorato di me.” sussurra appena la ragazza.
“Ecco, vedi? Avevo ragione io: Abel ti aiuta per un suo scopo…!”
“T’assicuro che non è così. Mi ha detto che è disposto a dare una mano a tutte le ragazze che lo vorranno, anche con poco denaro…”
“Sarà, comunque io non mi fiderei troppo… Ma, se hai deciso, non posso che augurarti buona fortuna… E sta’ tranquilla, nessuno saprà niente da me…”
I due giorni sono passati in fretta. Asmra non ha fatto che pensare a Jasmine. Poi, d’impulso, la sua decisione: quella notte la giovane fuggitiva avrà lei come compagna di viaggio e di avventura!
Le due ragazze, con tante altre come loro, vengono caricate sul cassone di uno sgangherato fuoristrada. Abel le affida ad un certo Nadir.
“Questo mio amico vi condurrà in Tunisia. Fidatevi di lui, Nadir è come un fratello, io vi raggiungerò tra qualche giorno…” le rassicura Abel.
Il viaggio per la Tunisia sembrava non finire mai. Le ragazze sentivano le loro ossa a pezzi; lo stomaco brontolava per il lungo digiuno, le labbra pareva bruciassero per la gran sete. Ma Nadir diceva che non potevano fermarsi, che era pericoloso, che la polizia li poteva intercettare…
Poi, su un gommone, una addosso all’altra, come le sardine in una scatola, sul mare infinito…
Molte di quelle sventurate caddero nel mare in tempesta, che le ghermì senza che nessuno provasse a salvarle, poveri corpi dai quali la vita non tardò a fuggire via.
Jasmine e Asmra, fortunatamente, ce la fecero. Per qualche giorno furono ospiti di un centro d’accoglienza; poi Nadir, sorridente, disse loro che potevano partire per la città nella quale avrebbero lavorato. Trascorsero la notte in una casupola abbandonata e lì cominciò per le due ragazze l’inferno. Nadir non sorrise più; volle fare l’amore, senza ascoltare ragioni.
Fu violento, brutale, e subito dopo, altri, tanti altri uomini fecero come lui.
La sera successiva arrivarono in una contrada sperduta tra le campagne. Di lontano, s’avvertiva il rumore incessante delle onde del mare che si infrangevano sulla battigia. Le ragazze vennero sistemate alla meno peggio in un vecchio capannone che un tempo era adibito a granaio. Anche quella notte molti uomini profittarono di Jasmine e di Asmra, sempre come delle bestie.
Jasmine cercava di confortare la sua compagna.
“Non aver paura…” le diceva, ma senza molta convinzione. “Verrà Abel e gliela farà pagare, a questi farabutti!”
Ma Abel non venne. Jasmine, dopo qualche giorno, scomparve: era stata comprata da altre “belve” come Nadir.
Asmra – che adesso è diventata Luna – tutte le sere viene accompagnata su di una strada frequentata a quell’ora solo da uomini in cerca d’amore mercenario. E quando i “clienti” non sono molti, Nadir le ricorda che lei ha nei suoi confronti un debito da saldare, e la picchia a sangue.
Tutte le sere “Luna” è lì, su quella strada buia ed isolata, e ripete stancamente – con la morte nel cuore – a quelli che le si avvicinano per profittare di quel suo corpicino senza più anima sempre la stessa, triste, litania. le due identiche parole: trenta euro!
Ernesto Pucciarelli