Intervista al professore Giuseppe Falanga, esperto e docente di Teologia alla Facoltà di Capodimonte

Condividiamo la pausa caffè e, tornati nel suo ufficio, iniziamo l’intervista, interrotta più volte dall’ingresso di studenti e docenti per delucidazioni o richieste.

Nella sua lezione, seppur in maniera implicita, parlava anche della nostra Torre del Greco. Che cos’è l’Immacolata per i torresi?



Bisognerebbe chiederlo a un medico genetista, non a me. L’Immacolata è inscritta nel Dna del nostro popolo, ancor prima del 1861. Sono centinaia di anni che nelle nostre vene, nelle fibre più intime del nostro essere, assieme al coraggio che ci fa sfidare incoscienti e nello stesso tempo impavidi la montagna sterminatrice, c’è una componente, chiamiamola sentimento, chiamiamola legame, che è unica. Abbiamo un amore verso la Madonna che ha caratteristiche, certo, comuni ad altre città, regioni, nazioni, ma anche delle specificità proprie che, nel tempo, si sono sedimentate e intrecciate con il nostro estro, la nostra arte, la storia del territorio in cui viviamo, così meravigliosamente bello e così vergognosamente ferito.

E per lei cosa significa l’Immacolata?

Rispondo raccontando un episodio. La scorsa estate, per un convegno, ero in una diocesi dell’estremo lembo della Sicilia. Il giovane segretario del vescovo m’invita a visitare l’episcopio. Mentre camminiamo per le sale e mi mostra i quadri, gli arazzi, le statue, mi rivolge  una domanda: “Professore, precisamente da quale zona di Napoli proviene?”. Gli rispondo: “In verità, sono della provincia, di Torre del Greco. Ha mai sentito la città del corallo?”. Cambia espressione, gli brillano gli occhi e con voce sorpresa esclama: “Ma lì fate la più bella festa dell’Immacolata!”. Poi mi spiega che, cercando su YouTube il video di una loro processione, si era imbattuto casualmente nelle immagini del nostro 8 dicembre. Da allora aveva cominciato a ricercare tutto ciò che riguardava la festa dell’Immacolata a Torre e conosceva tutto sul carro, sul voto, sui portatori. Immaginate il mio stupore…
Ma voglio raccontare un altro episodio. Era l’8 dicembre di uno dei primi anni dopo il 2000 e il mio maestro di liturgia, l’Arcivescovo Piero Marini, volle che partecipassi all’omaggio all’Immacolata in Piazza di Spagna con Giovanni Paolo II. Tanta gente, un bel momento di fede, avevo il privilegio di essere a pochi passi dal Papa, ormai stanco ma già santo nel cuore dei più. Al termine, mentre il Santo Padre saliva sulla papamobile, Monsignor Marini mi chiese: “Allora, Giuseppe, com’è andata? Cos’hai da dire?”. Non avevo nemmeno assorbito la domanda che, dalla folla dietro le transenne, una signora con le lacrime agli occhi – che mai avevo visto e mai ho reincontrato – rispose ad alta voce: “Bello, sì, ma non è la nostra Immacolata di Torre del Greco”. Meraviglia massima da parte mia! E, durante il tragitto che ci riportava col seguito papale in Vaticano, provai a spiegare al Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie tutto quello che c’era dietro il grido e il viso di quella donna…
A chi, come me, ha vissuto venti anni in Santa Croce e ha lavorato tanto – a volte senza essere compreso e, naturalmente, anche sbagliando –, solo un lavaggio del cervello e un trapianto di cuore potrebbero cancellare il ricordo dell’Immacolata!

Ci dice qualcosa sulla statua della nostra Immacolata?

Sono stato diversi anni a contatto ravvicinato con quell’immagine, ma, dopo il restauro del 1999, è cambiata, faccio fatica a riconoscerla. Non sono un esperto dell’arte del restauro, mi si perdoni, ma non mi sento di dire che sia più bella di prima e che sia stato giusto intevenire sul volto come si è intervenuti. Aggiungiamo pure che si tratta di una statua barocca, che si veste e si decora con gli abiti e i gioielli. Quest’operazione richiede competenza e buon gusto e ciò non sempre avviene… Ma dalla sua buona o cattiva riuscita dipende l’aspetto che la statua dell’Immacolata assume e che vediamo quando andiamo in Basilica o seguiamo la processione.
Non è questo, però, l’essenziale! Quello che importa è quella forza superiore che ci attira nel guardarla, che ci fa inginocchiare, piangere e che ci porta all’invocazione, a pregare non Maria, ma come Maria e con Maria il Dio che è Padre misericordioso, che è Figlio redentore, che è Spirito vivificante.

Il carro di quest’anno le piace?

Mi vuole indurre in tentazione? Non cedo! E poi non lo abbiamo ancora visto. Certo, non nascondiamo che, nell’ultimo quindicennio, qualche volta non si è fatto onore alle vere capacità artistiche torresi, e questo è grave se si considera che il carro dell’Immacolata ha un costo. Ma, anche qui, ciò che conta non è la progettazione e l’esecuzione perfetta o meno del carro. Ciò che importa è il carro per il suo valore religioso, per quello che significa anche al di là dei significati simbolici che gli si danno oltre misura.
Non condivido la scelta del titolo: quando è troppo lungo è difficile da ricordare, di conseguenza si perde il messaggio. Lo avrei chiamato semplicemente Madre della fede, per citare un’espressione cara a Benedetto XVI e per essere in tema con l’Anno della fede che stiamo celebrando. E anche perché temo che la frase scelta – tratta, tra l’altro, da una stupenda preghiera! – possa prestare il fianco a un facile fraintendimento o a una stupida strumentalizzazione. Mi riferisco ai fatti economici a tutti ben noti, che coinvolgono molti in città e che, da troppi mesi, ci fanno vivere in un clima di schizofrenia collettiva che è difficile gestire, nel quale la comunità ecclesiale come la politica non ha saputo fare bene la sua parte.
Sono certo che non è stato questo il motivo che ha portato il parroco di Santa Croce a scegliere il titolo, ma sicuramente il voler continuare, per ragioni pastorali, il discorso iniziato lo scorso anno. Questo, credo, che occorra dirlo. Quando ero collaboratore in Basilica ero solito ripetere che il parroco di Santa Croce è il “depositario della tradizione dei nostri padri”. Questa frase ha fatto epoca e non la rinnego! Anzi, tutti, con rispetto – ma senza rinunciare all’intelligenza –, siamo chiamati a seguire le scelte che egli ci indica.

Che cosa non va o che cosa cambierebbe della processione?

Si potrebbe scrivere un libro. Sarò, invece, telegrafico e dirò tre cose: 1) tutti quegli pseudo-fotografi o cineoperatori – aggiungiamo pure quelli con gli smartphone – che sbucano da tutte le parti danno veramente fastidio alla processione. 2) Il percorso è lungo o, forse, si impiega molto tempo per compierlo. Troppe soste, troppe aggiunte… Una volta la processione rientrava in Basilica alle 14, e si è lavorato tanto per questo… Non credo che la nostra Curia arcivescovile permetta delle processioni così estenuanti. 3) Cambierei il percorso e porterei l’Immacolata in altre strade, accontentando le richieste dei fedeli. Si potrebbe pensare a tre percorsi da alternare in tre rispettivi anni?
Una cosa gradita e giusta è il momento di preghiera finale in piazza, prima del rientro del carro in Santa Croce. Spero che si tenga ogni anno e che, però, non si inserisca pure qui l’esposizione eucaristica: non ha senso al termine di una processione mariana o di un santo, e per ovvi motivi.

E i portatori?

Sono l’anima della processione. Ci rappresentano tutti. C’è l’uomo della strada, l’operaio, il professionista; il giovane e quello più anziano; il giusto e il peccatore. Proprio come noi. La loro fatica, il loro sudore è anche per noi… E questo li deve inorgoglire e responsabilizzare! Mi si permetta qui di ricordare chi non c’è più, ma che – soprattutto in questi giorni – è sempre con noi. Ciro, Rosario, Salvatore, Angelo… L’elenco sarebbe lunghissimo. Vorrei citare ancora, assieme a loro, l’amico Elio Polimeno, il maestro Giuseppe Ciavolino, l’apparatore Vincenzo Sorrentino. Quanti ricordi!
È tutto un popolo sotto il carro, non solo intorno o dai balconi e dalle finestre. E, con i portatori, le gioie e le speranze, i dolori e le attese di tutta Torre del Greco, anche dei suoi figli lontani, dei bambini, dei giovani, delle famiglie, dei preti, degli emarginati, degli ammalati, dei morenti. Negli occhi di Maria, l’Immacolata, i nostri occhi, come gli occhi di nostra madre e di nostro padre, dei nostri nonni, di una città intera che, orgogliosa del suo passato e delle sue tradizioni, non deve vergognarsi della fede e nella fede trovare la forza per andare avanti.

Siamo in conclusione, vuole dire qualche altra cosa?

Mi sento di aggiungere soltanto un augurio a tutti i miei concittadini, che si traduce in preghiera vicendevole. E vi consegno un mio scritto, pubblicato qualche anno fa, su Maria nella pietà popolare e nella devozione. Alla fine c’è una preghiera composta proprio pensando alla nostra Immacolata. Se vi fa piacere, potete pubblicarla. Grazie per avermi dato voce e spero di essere compreso! Ho costruito ponti e non ho alzato muri…

Siamo noi che ringraziamo il professor Giuseppe Falanga e volentieri pubblichiamo, a beneficio di tutti, la sua preghiera:

Soccorri la nostra debolezza, o Maria.

Tu, Vergine dell’ascolto e dell’accoglienza,

aiutaci a meditare nel nostro cuore le parole di Gesù.
Tu, Vergine del silenzio e del servizio,

aiutaci a diventare testimoni credibili del Vangelo

in un mondo che cambia:

nelle nostre chiese e nelle nostre sacrestie,

nelle nostre case e nelle nostre scuole,

nei luoghi della politica e del lavoro,

per le piazze, le strade e i vicoli della nostra città.

Tu, Tota pulchra.

Tu, Honorificentia populi nostri.
Tu, Madre di Gesù Cristo,

nostra unica salvezza e speranza!

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 5 dicembre 2012

<a target=_self" href="https://www.latorre1905.it/home/leggiNotizia.asp?ID=6138">"L’Immacolata nel DNA dei torresi"</a>