Questa di oggi è una domenica particolare, una di quelle domeniche che raramente capitano nella vita. I ragazzi sono andati a trascorrere il fine-settimana sulla neve; mia moglie è uscita con le amiche per partecipare ad una giornata ecologica, è di moda…

Sono solo in casa e non ho assolutamente niente da fare! Mi sto godendo l’ozio, assaporo l’intenso piacere che mi procura una mente totalmente sgombra da pensieri… Sarà la decima volta che accendo il televisore, e subito dopo lo spengo. Non mi va neppure di seguire la più banale delle trasmissioni domenicali… M’avvicino alla libreria e comincio meccanicamente a tirarne fuori dei volumi. Il manuale di anatomia… Il testo di cardiochirurgia, notti intere a studiare, a forza di litri e litri di caffè. “Guerra e pace”, questo l’avrò letto almeno cinque volte…

Ecco un album di fotografie… Era nascosto dietro un impolverato volume della “Treccani” chissà da quanto tempo… Comincio a sfogliarlo, e subito mi prende una grande nostalgia… Qui siamo io, mio padre e mia madre… Me la ricordo benissimo, quella foto. La scattò mia sorella più piccola; volle per forza farla lei, e ci mozzò la testa! Sorrido, e continuo a girare lentamente le pagine… Questo è il giorno della mia prima comunione… Dio, com’ero ridicolo, tutto impettito, in quell’abito blu e con un candido giglio nella mano destra!
Che emozione, la discussione della mia tesi di laurea, la foto al mio primo bambino, e mio padre e mia madre che diventano sempre più vecchi…
Sento che mi arrivano le lacrime agli occhi, mi faccio forza, non voglio commuovermi. Mia madre mi diceva sempre che gli uomini non piangono, non devono piangere! Era una maestra elementare, la mia mamma, di quelle ‘toste’, come ce n’erano soltanto una volta. Anche a casa faceva la maestra, rigida, inflessibile, determinata, e noi tutti ad ubbidire, senza possibilità di discutere; pure mio padre, per quieto vivere.



Dovevamo essere quasi perfetti, noi figli, “quasi” perché di perfetto c’era già lui: il figlio di Elisa!
Elisa era una collega di mia madre, e aveva questo figlio che più bravo di così non si può! Tornavo a a casa con una pagella scolastica con tutti nove, e anche qualche dieci? Mi aspettavo le meritate congratulazioni e “Bravo!”, mi diceva mia madre. “Però”, aggiungeva, ed io cominciavo a tremare, “il figlio di Elisa ha avuto tutti dieci”.
Esprimevo il desiderio di imparare a suonare il pianoforte? “Mi fa piacere che tu voglia farlo…” abbozzava un sorriso la maestra. “Pensa che il figlio di Elisa prende lezioni da quando aveva solo cinque anni, e studia anche il violino!”

Io non l’ho mai conosciuto di persona, questo “figlio… di Elisa”. Ci fu un periodo in cui dubitai persino della sua esistenza, pensai che l’avesse inventato mia madre per stimolare me e i miei fratelli a fare sempre meglio e di più. E invece no, il “mostro” c’era per davvero, era reale. Una volta si esibì a teatro, in un concerto al quale partecipavano tutti “genietti” come lui. Mia madre voleva che ci andassimo insieme ma ebbi, una volta tanto, anch’io un colpo di genio. Mi inventai un’improvvisa colica, e gli spasmi mi contraevano violentemente la pancia, partendo dalle gambe. Che interpretazione! Mia madre non ebbe dubbi sulla gravità del mio male, e perciò niente teatro.
Ero veramente soddisfatto di me, credo che neanche il figlio di Elisa avrebbe saputo far di meglio! Poi, per fortuna, sparì dalla mia vita, quell’extraterrestre onnisciente! La maestra Elisa si trasferì in un’altra scuola; adesso non aveva più contatti quotidiani con mia madre. Si sentivano di tanto in tanto per telefono, ma del genio parlavano molto meno frequentemente…
Io mi sentii rinascere, pervaso da una nuova forza: prima, ero avvilito, stanco di essere sempre perdente nel confronto, ed anche molto arrabbiato con mia madre, che mi paragonava al “mostro” e non si accorgeva della mia sofferenza.

Passarono molti anni… M’ero già laureato, quando “il figlio di Elisa” ricomparve, inatteso. Avevo superato la prova per la specializzazione in cardiologia, piazzandomi – con mia grande soddisfazione – ad un onorevolissimo sesto posto, su centinaia di concorrenti!
“Sai chi è il primo della graduatoria?” mi disse mia madre, con un pizzico di sadismo. “Ho sentito Elisa oggi pomeriggio…”
“Il figlio di Elisa!” esclamai, ricordando d’un colpo tutte le vessazioni di quand’ero bambino. “Ancora lui…”
Successivamente, scoprii che “il figlio di Elisa” era anche il figlio del primario della divisione di cardiologia. Non aveva alcuna importanza, oppure questo piccolo particolare contava qualcosa sul suo primo posto in graduatoria?
Però, vi assicuro che se avessi solo immaginato che c’era la possibilità di incontrare nuovamente l’alieno sulla mia strada, avrei rinunciato a fare il cardiologo; forse sarei diventato ginecologo, o odontoiatra, insomma avrei scelto di specializzami in organi e apparati quanto più possibile lontani dal cuore!

Ecco, mi sta prendendo il nervoso al solo ricordarlo, il mio incubo! Sento che la domenica sta cambiando… e anche il tempo: di lontano, un rombo cupo e insistente di tuoni…
Il suono del campanello della porta d’ingresso mi riscuote dai miei pensieri. Vado ad aprire: è mia moglie Viola, con Alice, la sua nuova, inseparabile amica.
“Ma dov’eri, Nando?” mi fa tutta nervosa. “Saranno più di cinque minuti che busso…”.
Poi si rivolge all’amica: “Vieni, Alice, accomodati. Telefona subito a tuo marito, ringrazialo per la sua cortesia…”.
“E’ proprio un tesoro, Riccardo!” e questa volta e a me che Viola parla. “Pensa che ha mandato il suo autista a prenderci a Via Caracciolo, non appena hanno tolto il blocco per le auto. A te, un’idea del genere, non t’avrebbe neppure sfiorato!”.
“Il figlio di Elisa…” farfuglio a mezza voce.
“Scusa, dicevi?” mi chiede Viola, che non ha afferrato le mie parole.
Non mi sembra il caso di raccontarle della mia “domenica di rimembranze”, e neppure di dirle che per colpa del suo amico Riccardo sto rivivendo una situazione molto simile a quella che avvelenò buona parte della mia infanzia, per tanti altri versi, invece, serena e felice. E’ da circa tre mesi, infatti, che Viola frequenta Alice e Riccardo, e sono tre mesi che mi decanta di continuo le lodi del perfetto marito che è toccato in sorte alla sua fortunata amica.
Riccardo è elegante, brillante, raffinato, premuroso, munifico… Tutto il contrario di quello che, evidentemente, devo apparire io ai suoi occhi.
“Ti stavo chiedendo se, per caso, avevi sentito i nostri figli” le dico, e sto mentendo spudoratamente. “Qui non hanno telefonato…”
“Sì, sì, m’ha chiamato Peppe sul cellulare. Tutto bene, si stanno divertendo…”.
Quando Alice va via, con apparente indifferenza, domando a Viola: “Forse me l’avrai già detto, ma in questo momento mi sfugge… Che lavoro fa il tuo amico Riccardo?”
“Non è solo amico mio, visto che lo frequenti anche tu!” mi risponde un tantino stizzita. “Che lavoro fa, che lavoro fa… Non lo so di preciso… Ne ha parlato pure con te, non ricordi? Alice mi dice che va spesso all’estero, investe, compra azioni, obbligazioni… Insomma, è nell’alta finanza, e direi che si vede…”
Faccio finta di non capire: Viola mi sta rinfacciando, e neppure molto larvatamente, il tenore di vita cui la costringo. Mi accusa spesso di essere “tirato”, un maniaco che conserva i soldi sotto il materasso, come i vecchi contadini di un tempo. Un poco esagera, ma in fondo ha ragione; il fatto è che non mi va di buttar via il denaro per “apparire”. Sono stato abituato così sin da ragazzo, mio padre aveva sgobbato in una fabbrica per oltre quarant’anni… C’erano sangue e sudore nel magro salario che portava a casa a fine mese. Per fortuna, lavorava anche mia madre, la maestra, ma eravamo una famiglia numerosa e le esigenze mie e dei miei fratelli erano tante…
“A proposito…” riprendo a parlare con Viola. “Sai che cosa diceva sempre mio padre? Forse non c’entra niente con Riccardo, però…”
“Sentiamo: che diceva quel pozzo di scienza di tuo padre?” mi fa Viola, con ironia.
“E’ un vecchio proverbio, non ricordo bene se polacco o ungherese. Più o meno recita così: Il denaro, quando non si sa bene da dove viene, si sa da dove viene…”
“Cos’è, uno scioglilingua? Non ci ho capito niente… Il denaro si sa quando viene… Com’è la storia?”
Le ripeto il proverbio con studiata lentezza. Questa volta Viola lo capisce, sbuffa, mi manda al diavolo con un gesto eloquente, e se ne va borbottando.
Sono passati alcuni mesi. La primavera tarda ad arrivare… Fa ancora freddo, un vento pungente, da brividi… E’ sera. Rientro a casa dopo un estenuante turno in ospedale. Apro la porta e mi accoglie il silenzio più assoluto… Che non ci siano i ragazzi è normale, quelli compaiono solo a pranzo e a cena e non tutti i giorni. Ma Viola, dove sarà andata?
Dopo circa mezz’ora, eccola arrivare, trafelata.
“E’ incredibile, una cosa che non sta né in Cielo né in Terra! Non è possibile!” sbraita, agitata.
Forse non s’è neppure accorta della mia presenza.
“Viola, calmati…” le dico, preoccupato. “Che ti è successo?”
“Ah, Nando sei già qui?” mi risponde, ancora confusa, come stesse riprendendosi da uno stato di trance.
“Ma guarda che sono quasi le ventidue…” le faccio notare, e mostro l’orologio.
“Scusami, ma non ci sono con la testa… Ero a casa di Alice… Sapessi la disgrazia…”
“Alice sta male? E’ successo qualcosa a Riccardo?” le chiedo, realmente preoccupato.
“Dammi un po’ d’acqua…” bisbiglia a fatica, e si stende sul divano.
Le porto l’acqua e mi siedo accanto a lei.
“Su, adesso mettiti tranquilla e raccontami tutto…”
“Nel pomeriggio…” comincia e parla a tratti per l’emozione. “Nel pomeriggio, ero a casa di Alice… C’erano anche Luigi e Alessandra… Stavamo parlando del più e del meno, quando sono arrivati i Carabinieri… Cercavano Riccardo, volevano arrestarlo… Pare che sia fuggito all’estero, hanno perduto le sue tracce… Quella povera Alice è distrutta…”
“Ma di cosa accusano Riccardo?” le domando.
“Parlavano di frode, di bancarotta… Sembra che si sia appropriato di una somma enorme… La situazione non è ancora chiara…” risponde Viola, e mi guarda come in attesa.
Forse si aspetta che le dica: “Vedi, i detti antichi non falliscono mai? Aveva ragione mio padre!”.
Non sono così meschino, e lei dovrebbe saperlo, non sarei mai capace di infierire sul “cadavere del nemico”!
Però, è inutile che mi sforzi a negarlo, è umano, dopo tante mortificazioni! Sento un pochino di soddisfazione, un sottile piacere… E’ quasi una rivincita questa, per me. Quella rivincita che, da bambino, non ero mai riuscito a prendermi con “il figlio di Elisa”!
Ernesto Pucciarelli