Nella mia privata storia di coincidenze avviene che io mi trovi in una Scuola. Mi trovo qui mentre si prepara nella sala teatro una rievocazione: è Il Giorno della Memoria, 27 di gennaio. Sono a colloquio con la Prof. Maria Aurilia, dirigente dell’Istituto Comprensivo Giampietro-Romano, ora gli Istituti d’Istruzione sono spesso in coppia. E di una coppia narro, Maria mi racconta con suadente voce pagine di bellezza della sua vita con Franco Barbuto, nella semplicità e commozione di una compatta vita amorosa spezzata da un addio quasi improvviso, e ne faccio memoria nella pagina che da alcuni anni mi ospita.

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Come nella belle storie d’amore la loro cominciò per il solito inaspettato caso: Franco è con un amico, lo ha portato a casa di Maria per una festa di compleanno dove tra un dolce e una coppa di spumante si organizza il ballo in casa, con le persone di famiglia tutte intorno ad osservare, era così un tempo, e non proprio lontano. Dopo quella sera Maria e Franco, pur conoscendosi nell’occasione, non si sarebbero più visti. Ma un bel giorno un altro amico di Franco, Emilio, militare alla Capitaneria di Porto a via Calastro, deve portare un documento nella stessa casa del compleanno, per il padre di Maria, e si fa accompagnare proprio da Franco, che forse non aveva mai dimenticato i begli occhi della ragazza, ci va volentieri e speranzoso di un più compiacente sguardo.

Fu cosi che giorni dopo prese coraggio: doveva andare al Teatro Sannazzaro con parenti o amici, chiamò Maria al telefono invitandola a una commedia di Luisa Conte. Chiedendo il permesso alla mamma la signorina Maria s’ebbe la risposta più o meno temuta: al teatro o con me o niente. Come fare e come non fare, Maria s’inventò un battesimo a casa di una amica: era un rigido febbraio come questo, al teatro riuscirono ad andare. Succede spesso così: Vorrei vederti, oggi no, forse domani, vedremo. Tra un sì e un no, la storia cominciò, con il bravo educato giovane che iniziava a lavorare col diploma di geometra in tasca, mentre Maria cominciava a inserirsi nel mondo della scuola come desiderava.
Il sospirato giorno del matrimonio arrivò, sotto la chiara luce della Contrada Leopardi con la cerimonia nella Chiesa del Buon Consiglio affollata di amici e parenti. Da quella felicità nasceranno due figli, un maschio, Aniello, ora avvocato e Milly, laureata in Scienze delle Comunicazioni trovando i suoi spazi per una vita piena di interessi.



Franco Barbuto, che aveva trovato una sistemazione, come si dice, al Comune di Torre del Greco, svolgeva diligentemente il suo lavoro all’Ufficio Tecnico. Ma come tutti quelli che fanno una cosa avendo nell’anima altre aspirazioni, nella quiete della sua casa trovava il suo piccolo privato Parnaso: nella memoria dei suoi giovanili anni trascorsi con amici suonando in qualche complesso, com’era in voga in quel tempo suo spensierato, si dedicava al pianoforte, un sentimentale rifugio dei sogni, che però non gli bastava. La musica suggerisce colori nei quali viaggiare e meditare. Appassionato di cinema da sempre, s’accostò al cavalletto dipingendo, al di là di studi sugli impressionisti che gli piacevano, personaggi dei film a lui cari, e ne ha dipinti tanti, e ne ha esposti in qualche mostra personale. Ha dolcezza di carattere Franco Barbuto, senza vaghezze e frenesie che a volte albergano nel petto e nella mente di un artista, trova in quegli eroi della pellicola, o della televisione, sempre tenendo d’occhio gli amati impressionisti francesi tra Ottocento e Novecento, la fonte delle sue ispirazioni.

Se si dovesse tracciare il profilo di una persona, si dovrebbe conoscerla, scrutare nel raggio dei suoi occhi, vederne l’atteggiamento, sentirne la voce. Non l’ho conosciuto ma incontrato forse sì, per occasioni municipali, se mi è consentito dire così. Lo identifico nei dettagli che mi vengono narrati: uomo schivo e di casa, dedito alle carezze dei figlioli con l’amabile attenzione di un buon padre. E’ quanto affiora dall’appassionato racconto di Maria che mi parla con buona grazia, velata di quella malinconia che un abbandono, un repentino distacco dalla vita proprio nel momento del giusto riposo, porta a uno straziante dolore.
Ma più delle mie, valgono le dolci parole di Milly, un messaggio letto in chiesa al momento dell’addio.

Ciro Adrian Ciavolino

LETTERA
Per Te. Caro Papino,
eccomi qui a scriverti … E’ ormai trascorso poco più di un giorno da quando non sento la tua voce, che non mi scrivi augurandomi una splendida giornata.
Eppure stamattina quando ho aperto gli occhi il mio primo pensiero è stato quello di venirti a salutare, e Tu a modo tuo mi hai sorriso. Avevamo il potere di farti sorridere, Si.
Appena varcavamo la porta di casa, i tuoi occhi erano pieni di gioia e d’amore per noi, i tuoi figli.
I tuoi messaggi che cominciavano sempre con un “MIA DOLCE PRINCIPESSA”, mi accompagnavano ormai da quando eri riuscito ad avere una certa dimestichezza con
l’invio di sms, regalando un sapore diverso alle mie giornate, fiera di avere un papà guerriero e combattente come te. Perché si, tu non hai mai mollato, dal primo istante in
cui abbiamo scoperto della lunga e tortuosa battaglia che ci attendeva.
In fondo la forza di volontà è ciò che ti ha sempre contraddistinto, e che so bene di aver ereditato da te.
Abbiamo sempre avuto un legame speciale, la tua protezione nei miei confronti, il tuo tenermi per mano sin da piccola, sono sempre stati la nostra forza.
Non c’era persona alla quale non parlassimo di te, del tuo essere unico, o meglio geniale, e questo non perché sia di parte, ma il tuo talento riusciva e riesce a risplendere semplicemente dalle tue opere, alle quali eri capace di regalare un’anima, renderle vive. Per non parlare del modo in cui spiazzavi tutti suonando il pianoforte, chitarra o qualsiasi altro strumento che attirasse la tua attenzione e che
sperimentandolo rendevi subito tuo allietando chiunque ti ascoltasse.
Siamo stati fortunati a ricevere questo immenso dono, quello di conoscere e vivere un GRANDE UOMO, UN GRANDE PAPA’, UN GRANDE NONNO, UN GRANDE ARTISTA.
Un uomo di grandi valori, dedito alla famiglia, eternamente innamorato della donna che gli ha regalato i suoi gioielli più importanti.
Avevi la capacità di farci piangere e ridere con la stessa intensità, sempre attento allo stile, amante del bello, del buon vestire, per non parlare poi dei capelli quelli che
purtroppo hai perso ma dei quali ti sei sempre preso cura con il tuo inseparabile piccolo pettine da viaggio. Non mancava occasione in cui mi chiedevi di scegliere con te la
cravatta migliore da abbinare alla giacca da te scelta, o ancora quando mi dilettavo a prepararti i miei piatti prelibati, i dolcetti che tanto amavi.
Eri fiero di noi, i tuoi figli, la tua forte moglie e noi orgogliosi di TE.
Avrei tanto da scriverti ancora, ma concludo citando una frase che un caro amico mi ha scritto:
“Il ricordo è una forma di incontro, continuerai ad incontrare il tuo papà ancora edancora”. Si, perché ovunque ci volteremo o andremo ci sarai sempre tu con noi, la tua
anima, il tuo profumo, il tuo essere semplicemente presente vivrà con noi.
Ti vogliamo bene papà. Grazie per la vita che ci hai donato.
Milly Barbuto & Aniello Barbuto

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 17  febbraio 2016