Dopo 173 anni dalla morte del poeta, sono ancora troppi i lati oscuri sul decesso

(a) Torre del Greco – A 173 anni dalla morte di Leopardi, ancora molti i lati oscuri sulle sue ultime ore di vita. Egli giunse a Napoli il 2 ottobre 1833, accompagnato dall’amico Antonio Ranieri. La motivazione ufficiale: l’esigenza di giovarsi di un’aria mite e salutare. Se è chiaro che in quella Villa Ferrigno a Torre del Greco Leopardi avesse trascorso molto meno tempo di quanto fatto credere per anni, è altrettanto indubbio che il suo ultimo domicilio fu a Napoli in Vico del Pero 2. Lì anche la sua morte, sopraggiunta non certo per una congestione di sorbetti e confetti di Sulmona, come purtroppo ancora insistono alcuni, ma per la peste del momento. Il Leopardi morì di colera e la salma fu gettata nella fossa comune. Ranieri avrebbe mentito per allontanare il sospetto che in casa sua ci fosse stato un coleroso. Nella vicenda del Leopardi solo due uomini brillano per la loro onestà: il medico Nicola Mannella e l’agostiniano scalzo padre Felice. Il dottor Mannella, che lo aveva in cura da quattro anni, non disse di che male stava morendo il suo paziente. A Padre Felice non importava di che male era morto il Leopardi e, dopo aver pregato al capezzale del defunto, scrisse il biglietto da servire al parroco dell’Annunziata a Fonseca per la registrazione nel libro dei defunti. Bisognava completare il tutto con un finto certificato medico che Mannella non aveva voluto sottoscrivere e così interviene il compiacente Stefano Mollica che dichiarerà il falso. Come artificiosa è la storia di voler Leopardi trasportato per miracolo alla chiesa di San Vitale a Fuorigrotta e là seppellito. Re Ferdinando Il ordinò il divieto di seppellire i morti, oltre che nelle chiese, in qualsiasi punto della città, se non in due precisi luoghi appositamente allestiti: uno a Poggioreale e l’altro in una vasta cava di tufo abbandonata, sita nella zona detta “delle Fontanelle”. La verità sulla sepoltura di Leopardi verrà a galla soltanto 63anni dopo, quando da una ricognizione risultò che la cassa conteneva due femori, altre ossa frammiste a terriccio e si notò l’assenza del cranio, la parte più nobile.
Agostino Ingenito*
*Cultore e Studioso Leopardiano
 
Articolo già pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 23 giugno 2010