Pensieri liberi – Riporto, quasi testualmente, l’articolo pubblicato stamattina da un noto quotidiano a tiratura nazionale.

“Il Governo ha varato le misure per la prossima Fase 2… Il lockdown, sempre che continui la decrescita dei contagi da coronavirus, inizierà dal deadline previsto (4 maggio). E’ anche possibile in alcune regioni un downgrading. Le aziende per riprendere le loro attività dovranno dotarsi di termoscanner. Bisognerà anche prevedere nuove forme di lavoro, come lo smart working.”

In un altro articolo, sempre del medesimo quotidiano, si fa riferimento alla situazione del PIL, secondo l’UPB, alla possibilità per l’Italia di accedere al Recovery Fund Europeo, alla richiesta di alcuni comuni di poter dilazionare il pagamento della Tarsu.
Lockdown, Deadline, Downgrading, Smart Working, UPB, PIL, Tarsu, e chi più ne ha, più ne metta… Termini a iosa in lingua inglese, sigle sconosciute alla maggior parte dei comuni mortali… Ma perché?



Come se non esistessero, nel nostro ricchissimo idioma, i corrispettivi (lavoro a distanza, per esempio, invece di “Smart Working”!), per esprimere gli stessi concetti. Sia subito chiaro: non ho alcuna intenzione di mettere in discussione la necessità, oggi specialmente, di appropriarsi della lingua parlata al di là della Manica, e nella maggior parte del Mondo, né tanto meno di proporre il ritorno ad un’autarchia linguistica già attuata in tempi passati, per nulla fausti. Però, c’è un limite a tutto! E’ mai possibile che, per leggere un semplice articolo di giornale, si debba farlo con un dizionario a portata di mano? Senza tralasciare la difficoltà di pronuncia legata alle parole inglesi…

Da ragazzo, il fascino dei film western, che guardavo anche due o tre volte di seguito, dipendeva anche dai nomi ‘esotici’ degli attori, che pronunciavo così com’erano scritti, e andava bene così: Gary Coopèr, Kirk Duglàs, Alan Ladd, eccetera. La lettura di “Tex Willer“, m’immergeva in un mondo di fantasia e raggiungevo il massimo della goduria quando il ranger, impennando il suo cavallo, gridava: ‘All right‘!, che credevo fosse il suo grido di battaglia. Che delusione, quando scoprii che si leggeva “O RAIT”, e che significava soltanto un niente affatto glorioso ‘Va bene’!

Quanto sopra, per dire che non ce l’ho affatto con l’inglese, anche per ragioni affettive legate alla mia fanciullezza. Ma reclamo il diritto di capire quando leggo, quando ascolto una notizia dal telegiornale. E mi infastidiscono pure che le “sigle infernali”, proposte in tutte le salse, senza che vengano accompagnate da una “legenda” che possa consentire al povero lettore di capire di cosa si tratti.

Per questo, per non contraddirmi, vi fornisco subito la spiegazione della sigla con la quale ho introdotto il mio articolo: B.I.S., che significa? Semplicemente basta con inglese e sigle!
Ernesto Pucciarelli