Pozzuoli – Per chi,  come i residenti dell’area vesuviana,  è abituato a convivere col rischio vulcanico, leggere che l’altra pericolosa polveriera campana, ovvero i  Campi Flegrei, sta manifestando dei “disordini”, risulta doppiamente inquietante. In queste ultime ore  l’argomento è alla ribalta di un gran numero di testate giornalistiche e dei post sui social. Motivo di questa grande curiosità la pubblicazione sulla rivista Nature Communications di un lavoro portato avanti da tre autorevoli ricercatori : Christopher Kilburn , della University College London (Ucl) , Giuseppe De Natale e Stefano Carlino,  dell’ Osservatorio Vesuviano- Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv).

I ricercatori pongono l’attenzione sull’elaborazione di un modello che mostra come i sollevamenti del suolo, avvenuti a partire dagli anni cinquanta fino ad oggi, indichino un accumulo di sollecitazioni in profondità, rendendo verosimilmente  il vulcano più suscettibile di eruzione. A dimostrazione di questa ipotesi,  l’esempio di quel che accadde in un’area molto simile ai Campi Flegrei, quella di Rabaul in Papua Nuova Guinea, che eruttò nel 1994 dopo un modesto episodio deformativo (una decina di centimetri), in un’area che aveva però già accumulato, nei decenni precedenti, alcuni metri di sollevamento. Il dato preoccupante del lavoro è che la caldera dei Campi Flegrei – che occupa più di 100 chilometri quadrati in un’area fortemente urbanizzata – sta entrando in una fase critica nella quale i fenomeni di sollevamento del suolo e di sismicità locale potrebbero diventare più intesi.

D’altro canto,  però,  se la caldera mostra segni di “irrequietezza” più o meno accentuati da 67 anni (  nel 1970 e 1983 ci fu addirittura l’evacuazione di migliaia di persone dall’area), fenomeni sismici e di sollevamento del suolo particolarmente intensi e veloci precedettero  l’ultima eruzione in epoca storica della caldera nel 1538, che causò la formazione del cono vulcanico di Monte Nuovo. Ciò testimonierebbe che anche sciami sismici e anomale deformazioni del suolo, pur se protratti nel tempo, non necessariamente siano precursori di eruzioni particolarmente catastrofiche.
Dopo un periodo di relativa calma, i fenomeni si sono ripresentati a partire dal 2005, costantemente monitorati dall’Osservatorio Vesuviano, che oggi può contare anche sui primi dati ottenuti grazie a una perforazione a fini scientifici di un pozzo nell’area di Bagnoli. Dunque i ricercatori sostengono  la tesi che  ipotizzare se la condizione dei Campi Flegrei sia vicina ad un punto critico dipende molto dallo stato fisico attuale del sottosuolo flegreo. Per avere dati più precisi è necessario calcolare con precisione il reale stato fisico delle rocce profonde ai Campi Flegrei, e tale obiettivo può essere raggiunto in maniera efficace grazie a perforazioni profonde che possono esplorare direttamente le proprietà ‘non elastiche’ del sistema.



In conclusione, cercando di semplificare al massimo un tema che è in verità assai complesso, si potrebbe affermare che : l’area vulcanica denominata “Campi Flegrei” rimane uno dei “supervulcani” potenzialmente più pericolosi al mondo ( ed è collocato in una zona ad alta densità abitativa, come del resto l’area vesuviana). I Campi Flegrei, così come il Vesuvio, sono oggetto di costante monitoraggio dell’Osservatorio Vesuviano-INGV. Attualmente, secondo quanto tutti possono leggere sul sito dell’Osservatorio stesso, è noto che “Il sistema di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano evidenzia alcune variazioni nello stato di attività dell’area vulcanica di Campi Flegrei”, per cui gli addetti ai lavori parlano di allerta “giallo”, cioè livello di “attenzione”. Inoltre le ultime evidenze scientifiche testimoniano che “la ricerca ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile”.

Marika Galloro