Penna-e-Calamaio-phDOrsi

Word è la pagina bianca su uno schermo di media grandezza sul quale devo scrivere qualcosa, spesso per un paio di periodici di questa città, a volte senza sapere di cosa narrare, partendo magari anche da una debole idea che deve costruirsi, quasi da sola, correndo dietro un incipit che possa aiutarmi al di là delle prime intenzioni. La pagina bianca è un antro annebbiato, una specie di sepolcro imbiancato, il contrario dell’ingresso di un covo, sempre scuro, nero di seppia. Può spaventare lo stesso, è una nebulosità di incertezze, anche se già si profila dove andrò, infine. Bisogna tuffarsi dentro come in una piscina di latte, se vi si specchia una nuvola luminosa. Si dice un salto nel buio, qui è un salto nella luce.
Lettore assiduo di un quotidiano che scippa ore al lavoro mio, quello del cavalletto, che pure ha le sue urgenze, proprio oggi su Il Mattino, trovo un ingorgo per le lunghe diatribe circa il Nobel a Bob Dylan. Mi avvio ad un gioco di incastri tra i miei giornalisti preferiti – ma lo sono più o meno tutti – e i libri a metà lettura ancora da concludere, sino all’ultimo arrivato, un poketbook, di politica che entra nel particulare napulitano, la sfida mancata tra Bassolino e De Magistris spentasi alle primarie. Il libro, minuto e grazioso, con copertina bianca come un libretto devozionale, è un saggio di Vito Nocera, dal quale avevo già ricevuto un paio di inviti in occasioni diverse, mai osservati, per motivi vari, per i quali mi sono giustificato, mentre mi sono presentato a sorpresa alla Saletta Guida, il grande editore e libraro che ha dovuto spostarsi dalla mitica sede di Port’Alba, in un antico e nobile palazzo di via Bisignano.
Ebbene, tra altri che sono intervenuti a proposito della sempre attuale pubblicazione, c’era anche Fausto Bertinotti, che chiudeva la discussione fino alla conclusione di Nocera che ha ricordato la sua provenienza dall’Istituto d’Arte di Torre del Greco e citando, con lusinghiere espressioni, la mia presenza come insegnante d’arte e artista ancora sul campo. Per cui ho dovuto schernirmi dagli applausi della misurata ma attenta platea, pensate, Bertinotti compreso.
Ma la sorpresa nella sorpresa doveva ancora venire: ai saluti, l’architetto Orsola Corrado, severa ordinatrice della mie mostre, che mi ha accompagnato nella prestigiosa sede culturale, anch’ella con origini nell’Istituto d’arte nostro, ha sfilato dalla borsa una foto in bianco e nero in quella scuola scattata. Con lei, un’altra allieva e il giovane con foltissima nera capigliatura Vito Nocera. La loro emozione nell’incontrarsi, l’abbraccio tra due antichi studenti dopo quanti anni non dico. E sorpreso anch’io ero, non sapendo che Orsola avrebbe cavato come da un cilindro una fotografia, posso dire?, d’epoca. Usciti alla sera di luna piena, abbiamo incontrato di nuovo Nocera e Bertinotti in Via Morelli e poi, udite udite, finanche nella stessa cabina dell’ascensore del Parcheggio Borbonico.

Come spesso si fa, ho letto, per ora, soltanto la prefazione a Fenomenologia di una candidatura: ho dato corso a una sventagliata delle cento pagine, velocemente, venendomi incontro il capitolo su Le lezioni americane di Italo Calvino, un libro che contiene scritti per conferenze-lezioni che lo scrittore avrebbe dovuto svolgere in una o più Università degli Stati Uniti, sei diversi argomenti sulla scrittura, mancando la settima lezione, se ben ricordo, perchè ancora non finita. Perchè finiva, con essa, il grande scrittore e filologo.
Che Nocera abbia citato Calvino, son contento. Quel libro sono lezioni di profonda scienza dell’arte della scrittura, ti fanno capire, se hai capacità di apprendimento, come osare mettersi davanti a una tastiera, di computer oggi per necessità, dopo aver gettato il sangue davanti a quella benedetta Olivetti Lettera 22 ora tra i cimeli di casa a me più cari.

Le Lezioni Americane, a chi lo vai a dire, è una piccola grande Bibbia sulla scrittura, una tavolozza infinita del sapere, delle magìe della parola, della bellezza del canto scritto, quello che ha premiato Bob Dylan che potrebbe ricordare i lirici greci, come qualcuno ha osservato, anche se della musica ellenica nulla ci è pervenuto.
In questa plaga di affastellamento impuro della piccola, in tutti i sensi, molto provinciale cittadina, in panciolle stesa, dove ti trovi davanti a uno stagno maleolente di anticultura e di ignoranza, di assenza anche minima di sintassi etica del dire, del fare, del comportarsi, del senso di una educazione di base almeno sulle nostre vere risorse, sulla nostra storia, sulla nostra cultura. Ci si ritrova nuovamente davanti a sepolcri imbiancati.
Le mie lezioni le ho capite non solo dai Calvino Group, se posso dire, ma anche da veri uomini di penna. Le ho capite anche in questo mese, da come un professore universitario, Francesco Durante, che scrive per Il Mattino, e non solo, per un semplice invio di email, mi risponda subito invitando questo suo lettore, ancorché sconosciuto, a un Convegno sugli Stati Generali della Letteratura del Sud.



E’ questione di stile.

Ciro Adrian Ciavolino

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 19 ottobre 2016