GLI AVVOCATI DEL DIAVOLO

Alcune settimane fa, ricorderanno i nostri lettori, avemmo modo di commentare una sentenza della Cassazione che stabiliva la non punibilità dell’occupante abusivo di case popolari che avesse posto in essere detta condotta a causa delle sue condizioni di indigenza, dovendosi individuare, in un caso del genere, la esimente dello stato di necessità (art. 54 c.p.); mai avremmo immaginato che, pochissimo tempo dopo, la Suprema Corte si sarebbe pronunciata in senso esattamente opposto alla ricordata sentenza, negando, in caso di abusiva occupazione di alloggi popolari, qualunque valenza scriminante alle precarie condizioni di vita del soggetto agente. Il provvedimento in questione è stato emesso, in data 25 settembre 2007, dalla seconda sezione della Corte di Cassazione, che ha sancito, alla luce della funzione sociale svolta dall’edilizia popolare, che "l’assegnazione degli alloggi deve avvenire secondo criteri prefissati dagli organismi pubblici e da questi verificati secondo idonee procedure"; pertanto, "nessuna rilevanza può avere l’arbitrio del singolo, pur bisognoso". Stando così le cose, quindi, qualunque accertamento relativo allo stato di indigenza di colui che abbia posto in essere la condotta descritta dall’art. 633 c.p. appare superfluo, poiché, quand’anche condotto con esito positivo, giammai varrebbe ad escludere un elemento costitutivo di detto reato. La giurisprudenza, però, è in continua evoluzione; per questo motivo, non è detto che, in futuro, la Suprema Corte, tornando sull’argomento, non adotti nuovamente una decisione di segno contrario rispetto a quest’ultima sentenza. Alla luce di casi come questi (assai frequenti, sebbene non sempre balzino agli onori della cronaca) un dato, allora, appare innegabile e non ci stancheremo mai di sottolinearlo: pur in presenza di norme scritte, alle quali i giudici sono vincolati e che dovrebbero rappresentare una garanzia per il cittadino, nulla pare essere così incerto come il diritto!
Giovanni e Alessandro Gentile