In tempi di crisi per le finanze pubbliche non mancano coloro, tra politici, giornalisti, opinionisti, che rimarcano, giustamente, la necessità di combattere l’evasione fiscale, vecchio malcostume della nazione italica. In effetti, a sentire le cifre dell’evasione fiscale in Italia, ci si rende conto di come i soldi non versati allo Stato, e agli altri enti pubblici, determinino dei buchi di bilancio assai difficili da colmare, il tutto a discapito della collettività. La condotta degli evasori è, a parere nostro, deprecabile, a prescindere, si badi Martello-Giudice-Sentenza

bene, dal fatto se questa assuma o meno rilevanza penale. Occorre, tuttavia, evidenziare, pur ribadendo la gravità del comportamento di coloro che evadono il fisco, come troppo spesso, a proposito degli evasori, si senta dire erroneamente che costoro “rubano allo Stato”. Detta espressione, dettata, forse, in alcuni casi, da un’enfasi che mira all’acquisizione di consenso popolare (anche da parte di giornalisti e commentatori), è obiettivamente errata, in quanto appare evidente che l’evasore è figura del tutto diversa rispetto al ladro: il primo, infatti, non si appropria di beni che appartengono ad altro soggetto, che, nel caso di specie, sarebbe lo Stato o altro ente pubblico, ma omette di versare a detti enti somme loro dovute, che, quindi, per questo, non entrano a far parte della finanza pubblica; il secondo, invece, si appropria di beni altrui, ossia di beni (danaro, ad esempio) che fanno già parte del patrimonio di altro soggetto, che di questi viene spossessato. Ribadiamo, a scanso di equivoci, che l’evasione fiscale è una pratica illegale che va assolutamente combattuta; il che non equivale, però, a porre sullo stesso piano condotte che, ontologicamente differenti, non possono essere considerate un tutt’uno.
Alessandro e Giovanni Gentile

Articolo pubblicato sull’edizione cartacea in edicola il 25 febbraio 2015