AVVOCATI DEL DIAVOLO

Nell’Italia del dopo indulto è difficile parlare ai cittadini di giustizia, tanto più se si avanzano proposte di modifica normativa tese a rendere più umana e, per così dire, razionale la pena che i colpevoli di reato sono chiamati a scontare. Logico, dunque, attendersi reazioni per lo più negative allorquando si toccano temi delicati come, ad esempio, l’abolizione dell’ergastolo, recentemente riproposto all’attenzione del Ministro della giustizia Clemente Mastella, il quale, sul punto, si è detto decisamente contrario.
Eppure una proposta del genere, alla luce delle norme vigenti e della loro applicazione concreta, non rappresenta certo una follia; l’ergastolo, ad onta del significato della parola, nei fatti, da tempo non rappresenta più carcere a vita, poiché, decorsi venticinque anni di pena scontata, i detenuti condannati in perpetuo possono ottenere la liberazione condizionale.
L’idea dell’ergastolano che, una volta entrato in carcere, non ne esce più fino alla morte rappresenta, oggi, essenzialmente, un’immagine che non trova riscontro nella realtà dei fatti. Perché, allora, non discutere seriamente di una proposta del genere? Le paure legate all’abolizione dell’ergastolo derivano principalmente dal temuto carattere criminogeno di tale modifica normativa, che, tuttavia, pare essere più il retaggio culturale di un passato in cui l’efficacia deterrente delle norme penali veniva ancorata esclusivamente al quantum di pena previsto dalla legge; ma così come è illusorio ritenere che basta aumentare le pene per sconfiggere il crimine, allo stesso modo la loro riduzione (o, nel caso dell’ergastolo, l’abolizione) non equivale ad un invito a delinquere, e diciamo ciò non per nostra banale supposizione, ma in base all’osservazione dell’esperienza di quei Paesi (Stati Uniti d’America in primis) in cui addirittura la pena capitale si dimostra priva di reale efficacia dissuasiva di comportamenti criminali.
Se così è, il carcere a vita non può rappresentare un elemento imprescindibile del nostro sistema punitivo, la cui efficienza è legata, piuttosto che all’ammontare della pena, al fatto che la stessa sia effettiva e percepita come tale, ossia conseguenza inesorabile della commissione di reati.
Giovanni e Alessandro Gentile