La complessità delle relazioni, che strutturano il campo disciplinare dell’urbanistica, sono ugualmente
necessarie per cercare di impostare un’analisi delle realtà insediative, formatesi su un territorio di limitate dimensioni come quello, che stiamo analizzando sviluppatosi tra gli inizi dell’ottocento e il novecento. Il Via-Cappuccini-Cartolina

breve periodo della dominazione napoleonica, è caratterizzato da un insieme di riforme sia nel
campo delle finanze, che in quello industriale. Proprio in quegli anni ha inizio un profondo mutamento della società napoletana, che vede la disgregazione dei grandi patrimoni nobiliari, l’alienazione dei beni ecclesiali, e l’affermarsi di una borghesia fondiaria, costituita da
professionisti, mercanti e proprietari terrieri, che cancelleranno l’antico assetto feudale, modificando in tal modo i preesistenti rapporti sociali. I proprietari terrieri diverranno il ceto più influente nella via politica ed economica della città, investendo parte dei loro capitali nel settore immobiliare, sia rustico che urbano. L’acquisizione di terre fu reso possibile, anche attraverso la compera dei beni ex. ecclesiastici ed ex feudali, divenendo la loro principale forma di investimento, consentendo a loro, non solo una sicurezza economica, ma anche uno status simbolo di accettabilità sociale, che stesso gli permisero di acquisire anche un titolo nobiliare. Questa borghesia provinciale era costituita da medici, farmacisti, notai, qualche raro ingegnere e molti avvocati, che diventeranno gli artefici più rappresentativi della vita pubblica locale. Il loro patrimonio fondiario sarà spesso di modeste dimensioni, composto da piccole e medie proprietà fittate o date in conduzione ai coloni. Anche il ceto dei piccoli commercianti, tenteranno di imporsi nella scala sociale acquistando e ristrutturando ville e masserie per farne le loro dimore, spesso dal discutibile gusto architettonico e dalle limitate dimensioni. Questa nuova classe emergente si identifica attraverso la realizzazione di dimore che, rispondendo a nuove esigenze funzionali e di gusto, caratterizzeranno i centri vesuviani, conferendo ad essi una migliore qualificazione urbana. Per tutto il XVIII secolo i casali vesuviani erano stati prescelti dalla nobiltà napoletana, per costruirvi le loro residenze estive, attratti dall’amenità dei luoghi e dalla presenza della corte borbonica, che nel 1736 iniziò a costruire a Portici una residenza reale. L’eruzione del Vesuvio del 1794, distrusse gran parte del tessuto urbano di Torre del Greco, che venne ricostruito per mezzo di un moderno piano urbanistico, che permise di migliorare le attività economiche del paese legate all’artigianato locale, all’agricoltura, e alla pesca. Nella parte alta della città si inizierà a localizzare, la nuova edificazione, della borghesia, che si andava inserendo nella struttura socio-economica pre-capitalistica, promossa dalle riforme avvenute nel Regno già dai primi anni dell’800 e che sarà successivamente inserita nel contesto dell’economia nazionale post-unitaria. Essi costituiranno la classe dei cosi detti “benestanti”, e le loro abitazioni diventeranno la matrice dell’urbanizzazione di questo nuovo territorio, posto in una posizione intermedia tra la città alta e il mare. Nel quartiere del mare si insedierà una borghesia “minore”, che legata alle attività commerciali e manifatturiere presenti nel quartiere, riuscirà soltanto a completare l’edificazione del centro urbano senza variarne il suo perimetro. Continua…
arch. Giorgio Castiello